> di Pietro Piro
«Cristiani non si nasce ma si diventa»
Tertulliano (Apologetico XVIII,5)
La pratica del suggerire libri adottando lo stesso linguaggio con cui si “invoglia all’acquisto” di qualunque altra merce è diventata tanto usuale da non suscitare più nessuno “scandalo”.
Escludendo gli obsoleti come lo scrivente pochi sembrano ricordare che l’incontro con un libro dovrebbe sempre suscitare una mutazione nel ritornello della nevrosi quotidiana. Un libro è dunque degno di questo nome quando innesca dinamiche di pensiero che conducono – mai unicamente e direttamente è chiaro – a una crescita della consapevolezza dell’individuo che legge.
Se questa crescita s’innesca, un libro è degno di essere discusso e “proposto”, altrimenti, mi pare volgare parlare di libri come si parla di macchine da cucire o di accessori per telefoni cellulari.
Tuttavia, la grande corrente scorre impetuosa e a me non resta che attendere sulla riva il passaggio di qualche illusione-cadavere.
Nell’attesa – che sta diventando degna di una era geologica – ho incontrato il libro del domenicano Albert Nolan, Cristiani si diventa. Per una spiritualità della libertà radicale, EMI, Bologna 2013 (la prima edizione in lingua italiana è dell’aprile del 2009). Del libro mi convince il tentativo di mettere insieme una critica radicale della società dell’individualismo e la proposta spirituale di Gesù. L’autore non intende fornire un trattato di cristologia ma vuole soffermarsi sulla proposta di Gesù intesa come un rovesciamento – che in realtà poi è un raddrizzamento – della logica dell’egoismo dominante.
Partendo dalla potente affermazione che: «In fondo che ci dichiariamo cristiani o no, non prendiamo sul serio Gesù. Tranne qualche sorprendente eccezione, in generale non amiamo i nostri nemici, non porgiamo l’altra guancia, non perdoniamo settanta volte sette, non benediciamo coloro che ci maledicono, non condividiamo i nostri averi con i poveri, non riponiamo in Dio tutta la nostra fede e speranza» (p.11), Nolan vorrebbe aiutarci a “prendere sul serio Gesù”. Ma come fare? Notevole è l’indicazione di un vero e proprio percorso a tappe che adottando una logica esterna al libro si potrebbe definire disintossicazione mentale.
Se prima non ci distacchiamo dall’eccesso di fiducia riposto nell’attivismo frenetico e non cominciamo a godere della solitudine e del silenzio non potremmo mai dare spazio alla meditazione profonda.
Meditazione che ci permette di ascoltare noi stessi e di far risuonare in noi gli insegnamenti di un uomo che ha capovolto i valori dominanti del proprio ambiente nativo osservandoli da una visuale nuova e rivoluzionaria.
Un uomo che come scrive Nolan: «dal punto di vista dell’ambiente che lo circondava, era un fallito. È stato arrestato, processato e giustiziato per tradimento. Ma ha rovesciato radicalmente il mondo del suo tempo trattando questo tipo di fallimento come un successo. E’ stata la sua volontà di fallire a rivoluzionare la spiritualità dell’epoca. La sua morte è stata il suo trionfo» (p. 86).
Si può ancora credere al messaggio di Gesù in un tempo in cui l’esclusione sociale e il fallimento delle biografie individuali è argomento all’ordine del giorno? Si può credere a Gesù – l’amante dei poveri – in un tempo in cui le madri abbandonano i loro figli al destino in un barcone nel Mediterraneo o sopra un treno che attraversando i deserti giunge nella terra promessa americana?
Premesso che la fede è sempre una grazia e mai un atto di pura volontà umana – ed è dunque impossibile ogni forma di convinzione unicamente eterodiretta dal basso dell’umana opinione – mi pare essenziale “prendere il messaggio di Gesù” sul serio almeno per un minuto nella propria vita anche per chi non ha nessun interesse per questi argomenti.
Perché insisteva tanto sui poveri, gli esclusi, i marginali?
Perché era amante della compagnia, del silenzio, della preghiera, della gioia conviviale, della condivisione di beni e delle emozioni? Perché non voleva che la gente si concentrasse unicamente sull’accumulo dei beni terreni ma anche quelli ultraterreni? Perché utilizzava metafore legate alla natura, alla fraternità, alla solidarietà tra gli uomini lontana dal potere e dalla violenza?
Possiamo fare a meno di questo messaggio anche se non abbiamo nessun interesse per la Chiesa, i presbiteri e per tutto un mondo che ci pare lontano e insensato?
Fa bene Nolan a concentrarsi sul messaggio spirituale di Gesù intercettando il bisogno degli uomini di «qualcosa di più grande che li aiuti a mantenersi integri» (p. 24), perché è certamente il pubblico più vasto e più bisognoso – anche quando mente a se stesso affidandosi ciecamente alle promesse della tecnica.
Con Nolan condivido il bisogno di approfondire il messaggio dei grandi fondatori delle religioni universali e sono convinto che: «la spiritualità di Gesù abbia un importanza unica dinanzi al dramma senza precedenti del mondo di oggi» (p. 14).
Ma pare sia necessaria oggi una certa dote di profetica lungimiranza per leggere fino in fondo i segni dei tempi e indicare le vie che ci allontanano dalla disintegrazione. Compito non facile ma necessario e urgente.
Ora spetta al lettore – spesso troppo pigro per ricordare che il suggerimento di lettura non è il libro e che parlare di libri non significa averne fatto veramente tesoro – la propria parte in questa ricerca.
Albert Nolan, nato a Città del Capo nel 1934, è sacerdote domenicano. Di origine inglese, è sudafricano di quarta generazione. In seguito alla lettura di Thomas Merton è entrato nell’Ordine domenicano; ha studiato a Città del Capo e poi a Roma. Negli anni ’70 si è occupato di pastorale giovanile come assistente ecclesiastico della gioventù cattolica del suo paese. Eletto superiore generale dell’Ordine nel 1983, ha rinunciato all’incarico per poter continuare il suo impegno attivo nella lotta di liberazione sudafricana.