> di Pietro Piro
Coloro che detengono il potere stanno letteralmente cercando di spezzare una parte della nostra ossatura etica,
di attenuare e dissolvere ciò che rappresenta probabilmente
la più grande acquisizione della civiltà,
la crescita della nostra sensibilità morale spontanea.
S. Žižek, In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale
Nel suo piccolo ma denso volume Sociologia dell’agire politico. Bauman, Habermas, Žižek (Studium, Roma 2014), Francesco Giacomantonio cerca ragioni valide per motivare un agire politico «intorpidito da una visione della politica, intesa sempre più come mera gestione e governance dell’esistente, che toglie qualsiasi portata ideale» (p. 16). Deve fare i conti però con una “egonomia politica” in cui l’Io diventa un sistema di riferimento, la base dell’organizzazione socio-politica (p. 19). Un nuovo modo d’intendere il rapporto tra autocostrizione e autocostruzione che limita l’autonomia e la responsabilità e favorisce la dipendenza (eteronomia) e la coazione a ripetere.
Per Giacomantonio lo spazio dell’azione politica è sempre affidato al soggetto che se vuole istaurare relazioni sociali piene e armoniche deve passare attraverso tre momenti: il ricongiungimento con la ragione, il rapporto con l’altro e la ripresa di una capacità immaginativa (p. 27). Con Bauman l’autore riflette sul processo che ha condotto l’individuo alla difficoltà di sentirsi soggetto in un ambiente sociale “liquido”, con Habermas le patologie della comunicazione orientata al successo (p. 54) e il rifiuto della ragione come strumento per una socializzazione responsabile e partecipata che richiede inclusione, confronto e dialettica (p. 61); con Žižek del rapporto tra politica e post-politica (p. 81). L’autore concorda con i suoi interlocutori privilegiati che la libertà non riesce a determinare un agire politico soddisfacente perché ci si trova di fronte a una libertà senza autonomia (p. 89). Analizzando le differenze tra politica emancipatoria e politica della vita (a partire da Giddens) (p. 94) l’autore giunge a denunciare la deriva neoliberista mettendo in guardia il lettore dagli esiti di una politica che promette sempre nuovi margini di libertà ma che, in sostanza, corrode alla radice i legami di solidarietà: «è come se elementi di totalitarismo e liberismo si fossero fusi e sperimentassimo in molti ambiti delle società avanzate una sorta di spettro inquietante, Il Totaliberismo. Non si tratta solo del fatto che l’economia sia divenuta potenzialmente “totalitaria”, ma che sia divenuta totalitaria una certa idea di libertà, non autenticamente umana, la libertà senza autonomia […] la libertà senza autonomia fa si che le scelte ci determinino, inserendoci in percorsi che ci danno identità ma non soggettività, fa si che si cada nell’irresponsabilità» (p. 101).
Il libro di Giacomantonio è un utile strumento di riflessione e di approfondimento – notevole l’apparato bibliografico che permette ulteriori approfondimenti – scritto in un momento storico in cui il pensiero critico stenta a trovare nuovi protagonisti.
5 novembre 2014 alle 15:26
Sembra terribilmente importante e urgente. C’è qualcosa nella libertà apparente dei nostri tempi che non convince, che spiazza. Forse manca proprio questa autonomia che io avrei chiamato consapevolezza con un termine più psicologico che sociologico.
Testo che ho voglia di leggere. Grazie