> di Paolo Calabrò
L’inconscio: croce e delizia di almeno quattro generazioni di abitanti di questo pianeta, da oltre un secolo protagonista della scena intellettuale e medica. Oggi ben pochi sarebbero tanto temerari da negarne recisamente l’esistenza. Eppure la semplice dimostrazione del contrario è di per sé una chimera; figurarsi una “verifica sperimentale”. Dell’inconscio non abbiamo che la sua espressione fenomenologica, nel vissuto degli uomini e nell’esperienza verbalizzata degli ormai tantissimi che si sono affidati alla psicanalisi; al punto che diamo sempre più per scontata la sua influenza sull’attività cosciente (e da prima che le neuroscienze facessero i loro noti esperimenti al riguardo).
Diamo dunque per scontata la sua influenza sull’attività consapevole e razionale. Ma c’è di più, come spiega questo volume edito da Moretti e Vitali, dal titolo L’inconscio può pensare?: l’inconscio non è un elemento sotterraneo che si aggiunge all’identità e all’attività “solare” cosciente; è invece una componente distinguibile – ma non separabile – dell’identità di ogni uomo e di ogni donna, proprio come l’essere uomo (ovvero l’essere donna) è una caratteristica che informa tutto l’essere della persona (il desiderio, l’azione… – non solo il pensiero o il linguaggio); proprio come, ancora, nell’uomo la natura animale è costitutiva (e dunque anche qui distinguibile ma non separabile) del suo essere (per cui ogni attività umana conserva un aspetto di animalità; e, similmente, anche l’atto meno nobile è imprescindibilmente umano). Siamo alla frontiera di una riflessione finalmente olistica nella quale i diversi aspetti della psiche non sono più componenti che possono essere smontati più o meno a piacimento, ma dimensioni di quell’unico essere che la persona è. Vi è qui una riflessione articolata in diversi contributi di filosofi e psicanalisti a confronto, coordinati da Chiara Zamboni, docente di Filosofia del Linguaggio e animatrice della comunità filosofica Diotima. Il libro raccoglie gli Atti del seminario dedicato al rapporto tra l’inconscio e il pensiero razionale tenuto nel settembre del 2012 all’Università degli Studi di Verona, interessante nel contenuto e utile nel metodo, in particolare per un aspetto: per mostrare a tanti apprendisti meccanici dalle datate velleità cartesiane che a smontare troppo le cose, quando provi a rimetterle insieme, poi… avanza sempre qualche pezzo.
C. Zamboni (a cura di), L’inconscio può pensare? Tra filosofia e psicoanalisi, ed. Moretti e Vitali, 2013, pp. 125, euro 16.
3 dicembre 2014 alle 21:10
Mi piace l’impostazione della nota. Il finale potrebbe essere un manifesto di anti-riduzionismo o anti-meccanicismo: “mostrare a tanti apprendisti meccanici che a smontare troppo le cose, quando provi a rimetterle insieme, poi… avanza sempre qualche pezzo”. Aggiungo solo un parere sulla terminologia: L’inconscio non appartiene, per definizione, al campo dei fenomeni. Dunque non si presta a una verifica diretta e si può definire sotterraneo in questo senso . Questo vale, per esempio, anche per il Big Bang. L’uno e l’altro sono dei “pensati” che noi aggiungiamo alla realtà dei fenomeni per conferire una coerenza e non possono che definirsi in riferimento a quest’unica realtà. Sarebbe bene tenere presente questa differenza di “status” per quanto sia evidente che sono i mondi della coscienza e dell’inconscio, insieme, a definire la persona. Ciao e grazie. Giuseppe Roncoroni
4 dicembre 2014 alle 14:34
Grazie per l’attenzione e per la precisazione: è proprio questo il punto, l’inconscio – come tante altre cose – non lo si percepisce direttamente, ma nemmeno si può dire che la razionalità sia tutto ciò che c’è. Errore che il riduzionismo materialistico reitera a ogni passo, facendo come l’ubriaco che cerca le chiavi di casa sotto al lampione: non perché le abbia perse lì, ma solo perché lì… c’è la luce (della sua ragione – ebbra).