> di Luca Ormelli
«Io non sono per assolutamente niente»
I media («e l’esistenza di un dibattito politico sia pur posticcio è necessaria al funzionamento armonioso dei media, forse persino all’esistenza in seno alla popolazione di un senso quantomeno formale di democrazia», Sottomissione, pp. 172-173) non hanno perduto l’occasione per dimostrare ancora una volta la loro superficialità. Ma è chi sta dietro ai media, l’intellettuale, che ha dimostrato di essere persino peggio senza attenuanti generiche. Capiamoci: Houellebecq non è “Charlie Hebdo” e Sottomissione non c’entra nulla con il terrorismo. Chi sostiene il contrario è in malafede.
L’islam di cui scrive Houellebecq è la religione della realpolitik, prende il potere in Francia (la Francia del 2022 è un altro espediente acchiappagonzi che, infatti, hanno abboccato numerosi) servendosi degli strumenti laici e liberali che tanto piacciono ai cantori della democrazia e ai retori dell’umanesimo progressista («gli ultimi sessantottini, mummie progressiste moribonde, sociologicamente esangui ma rifugiate nelle cittadelle mediatiche che continuavano a dar loro la possibilità di inveire contro i guasti dell’epoca e l’aria mefitica che pervadeva il paese», p. 132), sconfigge la destra del Fronte Nazionale puntando forte sulla famiglia e pretendendo dai socialisti piena autonomia decisionale in materia di istruzione, storico cavallo di battaglia della sinistra: «per loro l’essenziale è la demografia, e l’istruzione; il sottogruppo demografico che dispone del miglior tasso riproduttivo, e che riesce a trasmettere i propri valori, trionfa; per loro è tutto qua, l’economia e la stessa geopolitica non sono che fumo negli occhi: chi controlla i bambini controlla il futuro, stop» (p. 73). È, insomma, un islam perfettamente a suo agio con le svuotate regole della politica occidentale. Niente shahīd né invocazioni al radicalismo salafita.
Il cuore del romanzo è, come sempre in Houellebecq, la disfatta dell’Occidente, meglio ancora il disfacimento della società occidentale. François, il protagonista, è un tipico antieroe houellebecqiano («ero un uomo di una normalità assoluta» p. 21), un intellettuale, uno specialista di Huysmans incapace di fronteggiare l’assurdità della vita per eccesso di libertà. È infatti la libertà il sottinteso al liberismo, la premessa (l’estensione) al dominio della lotta: chi è libero è senza società, è una particella elementare di nonsenso consumistico: «il capitalismo non è né reazionario né conservatore. Il capitalismo è autenticamente rivoluzionario, sempre schierato a sinistra fin dal XVII secolo, con la rivoluzione inglese, poi con quella olandese, quella americana, infine con quella francese. Coi borghesi, contro gli aristocratici. Per molto tempo, il sistema capitalista ha avuto bisogno di produttori, di fondi dei risparmiatori per finanziare il suo sviluppo. Poi di bravi consumatori che comprassero automobili, frigoriferi, lavatrici e forni a microonde. Il capitalismo quindi proteggeva la famiglia tradizionale. Questo tempo è finito. Della produzione si occupano i cinesi, mentre gli europei, nella nuova ripartizione internazionale del lavoro, si fanno carico di consumare dei prodotti che non hanno più nulla di primario, di necessario, dei prodotto-marchio il cui prezzo dipende innanzitutto dalla forza del loro richiamo immateriale. (…) I nuovi target di consumatori non sono le famiglie, che hanno consumi austeri e noiosi, ma individui leggeri come bolle di sapone, che “svaniscono”, comprano immagini, sensazioni. Degli individui-marca, palesi al mercato. (…) Il capitalismo (…) dopo avere optato per la società multirazziale e multiculturale ha scelto ancora una volta il suo campo d’azione, quello della femminizzazione degli uomini, ultimo passo di un progetto autenticamente rivoluzionario, la frankensteiniana fabbricazione di un uomo senza radici né razza, senza frontiere né paesi, senza sesso né identità. Un cittadino del mondo meticciato e asessuato. Un uomo campato in aria» (Éric Zemmour, Sii sottomesso, pp. 26-29).
È Meursault nauseato dopo una sbronza di libertà, una libertà che è durata all’incirca 50 anni, cioè fino all’asportazione della prostata dei baby-boomers: «I ragazzi del baby-boom saranno la generazione della rinuncia, dell’abbandono e dell’irresponsabilità. Una generazione che intende separarsi dall’istinto di uccidere, che è proprio della virilità da millenni. Vogliono stare dalla parte della vita, dalla parte delle donne» (Éric Zemmour, op. cit., p. 100). Un uomo castrato dal femminismo, dalla emancipazione, dalla società chioccia che è stata edificata sulle ceneri fumanti del patriarcato uscito a pezzi da due guerre mondiali. Il liberismo impone l’individualismo, l’individualismo la fine della famiglia patriarcale, della egemonia paterna. Il predatore è divenuto preda o, quanto meno, ha cambiato abitudini alimentari.
La domanda di senso ha molte risposte ma nessuna soddisfacente: edonismo (Estensione del dominio della lotta, Piattaforma), scientismo (Le particelle elementari, La possibilità di un’isola). Alla fame di senso non si risponde con la terra: l’uomo vuole il cielo. La democrazia ha fallito («mi rendevo tuttavia conto, e ormai da anni, che lo scarto crescente, divenuto abissale, tra la popolazione e chi parlava in suo nome, politici e giornalisti, era destinato a portare a qualcosa di caotico, violento e imprevedibile. La Francia, come gli altri paesi dell’Europa occidentale, si stava dirigendo da un pezzo verso la guerra civile, era evidente; ma fino a quegli ultimi giorni avevo ancora nutrito la convinzione che la grande maggioranza dei francesi continuasse a essere rassegnata e apatica – senza dubbio perché io stesso ero passabilmente rassegnato e apatico» pp. 101-102), l’impegno politico pure («il XX secolo con la sua mediocrità, la sua idiozia impegnata, il suo umanitarismo appiccicoso; contro Sartre, contro Camus, contro tutti quei buffoni dell’impegno», p. 54), solo la religione sembra ancora prometterglielo: «la trascendenza è un vantaggio selettivo: le coppie che si riconoscono in una delle tre religioni monoteistiche, che hanno preservato i valori patriarcali, hanno più figli rispetto alle coppie atee o agnostiche; le donne sono meno istruite, l’edonismo e l’individualismo meno pregnanti. Tra l’altro la trascendenza è, in grande misura, un carattere geneticamente trasmissibile: le conversioni, o il rifiuto dei valori familiari, hanno una rilevanza molto marginale; nella stragrande maggioranza dei casi, le persone restano fedeli al sistema metafisico nel quale sono state educate. Pertanto l’umanesimo ateo, sul quale poggia il “vivere insieme” laico, non resisterà a lungo, la percentuale della popolazione monoteista è destinata ad aumentare rapidamente, specie nel caso della popolazione musulmana – e questo senza tener conto dell’immigrazione, che accentuerà ulteriormente il fenomeno» (pp. 62-63).
Perché, in definitiva, non viviamo che per accaparrarci la nostra porzione di piacere, corriamo alla “ricerca della felicità” finché la morte non ci sorprende. L’assurdità sta tutta lì: Meursault è genuinamente novecentesco, la sua umanità ha ucciso Dio, tutto gli è indifferente, è al di là del bene e del male che Dio muore. In questo Meursault è figlio di Stirner e di Kirillov, di tutto il nichilismo dostoevskijano che ha sostituito l’uomo a Dio: «gli unici veri atei che abbia conosciuto erano dei ribelli; anziché limitarsi a constatare freddamente la non-esistenza di Dio, quell’esistenza la rifiutavano, alla maniera di Bakunin. (…) insomma erano degli atei alla Kirillov, rifiutavano Dio perché al suo posto volevano mettere l’uomo, erano umanisti» (pp. 212-213). Ma quando l’uomo si fa Dio resta il vuoto. Abbiamo ucciso Dio e Cartesio ne è il primo assassino. Nietzsche, quella lugubre zitella, ne ha constatato il decesso più che metterlo a morte, tanto quel logoro tappeto sotto al quale abbiamo nascosto le nostre paure, i nostri umanissimi inganni era malconcio e inservibile. Si riscrive la Genesi: l’uomo è ora senza Dio, un aggregato tronfio di libertà e mortalità: «alla base dell’umanesimo ateo c’è un orgoglio, un’arroganza incredibile. E anche l’idea cristiana dell’incarnazione, in fondo, testimonia una pretesa un po’ comica. Dio si è fatto uomo» (p. 215). E quanto più si scopre mortale – pascalianamente abbandonato, alla deriva nel mare dell’indifferenza – tanto più l’assurdo è il suo destino. Meursault muore libero e solo; François soffoca di libertà perché troppa libertà uccide. Dov’è oggi Dio? Risorgi Dio, se puoi, e sollevaci da questo eccesso di libertà incondizionata. L’uomo è un animale gerarchico che vuole essere sottomesso: «è la sottomissione (…) l’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta» (pp. 220-221). Dio, oggi, non basta più. Il Dio cristiano non essendo altro che una Madre Terra, un dio svirilizzato e misericordioso, incapace di incarnare la Legge perché avvezzo a porgere l’altra guancia: «Gesù aveva troppo amato gli uomini, ecco il problema; lasciarsi crocifiggere per loro testimoniava una mancanza di buon gusto» (p. 231). Allah, al contrario, è un dio guerriero, un autentico Padre. E i suoi figli soldati: «l’islam ha una virilità e una sicurezza che nel cristianesimo non c’è più. La forza di Gesù, ma anche il suo tallone d’Achille, è di avere promosso una religione di bontà, di misericordia, ma anche di sofferenza. Se prendi uno schiaffo, porgi l’altra guancia. È una religione indulgente. In Oriente sono virtù femminili. Cosa propone Maometto? Un rafforzamento del patriarcato, anche se rispetta la donna e ne migliora la condizione. I valori forti, come la ricchezza, la forza, la guerra, non vengono messi in discussione. Religione maschile per definizione» (Éric Zemmour, op. cit., pp. 141-142). Allah akbar.
– Michel Houellebecq, Sottomissione, Bompiani, Milano, 2015.
– Éric Zemmour, Sii sottomesso, Piemme, Milano, 2015.
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4 febbraio 2015 alle 09:11
Interessante, molto. Grazie per il pdf.
4 febbraio 2015 alle 09:21
Grazie a lei della lettura.
L.
4 febbraio 2015 alle 14:37
“L’uomo ha bisogno di cielo”. Teoresi non è relativismo, di Giuseppe Brescia. Esattamente, “l’uomo ha bisogno di cielo”, E’ questo il telos del recente percorso. Sui monti o sul piano / su di noi sovrasta il cielo stellato kantiano. Se la filosofia è ( come diceva Hegel ) il proprio tempo appreso con il pensiero, alcune riflessioni sulla sorte della civiltà europea sono pro-vocate dal recente dibattito a proposito dello scrittore francese Houellebecq. Riflessioni che inducono a rivisitare Leopardi e il senso del celeste; Baudelaire e i “Fiori del male”; Saint-Exupery e il “Piccolo Principe”; Tolstoy e il Pierre Bezuchov di “Guerra e Pace”; Croce e il “Perché non possiamo non dirci cristiani”; Eliot e gli “Appunti per una definizione della cultura”; Ernesta Battisti Bittanti e la lettura della “Primavera” di Botticelli; “Le occasioni” di Montale e “Il Giardino” di Bassani; “Dora Bruder” di Modiano e “Il Bene sia con voi” di Vasilj Grossman; Proust e “La fuggitiva”; Silone e la “Avventura di un povero cristiano”; “1984” e “Mondo Nuovo”; Italo Calvino e “Le città invisibili”; Arthur Koestler e “Buio a Mezzogiorno”; l’addio di Bloom e Telemaco nell’ “Ulysses”; le “Foglie d’erba” di Whitman e “Libertà e fondazione estetica” di Rosario Assunto; Carlo Antoni e la “Restaurazione del diritto di natura”; Karol Woytila e la “Metafisica della persona”. D’altra parte, qualcuno ha ipotizzato che il vero tema di “Submission”, oltre la “struttura” o lo scenario ideologico ( pervasività in Occidente del fondamentalismo ), possa essere l’amore ( Marina Valensise, sul “Foglio” del 10 gennaio 2015, che si sofferma sulle pagine della braceria e della “fellatio” ). Tutto ciò riporta ad altro tema di fondo, la pervasività del cosiddetto “relativismo” nelle culture contemporanee. Ironicamente, fa rammentare la “Histoire d’O”, dove la protagonista impersonata da Corinne Clery accetta “per amore” del consorte di esser “passata” in schiavitù ad una casa si piacere, a completa disposizione del “dominus” di turno, da cui, a vicenda, sarà “trasmessa” ad altri uomini e signori, sino alla fine. E dove il gioco delle inquadrature riprende solo il volto e la posizione assunta – di volta in volta – dall’interprete, in segno – appunto – di completa “Sottomissione”. Qui si giocano gli intrecci di giacobinismo e libertinismo, come “onde sopravvenienti” all’onde, così peculiare della cultura francese. Ma, in generale, e giusto per esemplificare, casi di radici culturali di “relativismo” ( disposizione tuttora di giovani e meno giovani ) posson ravvisarsi nei racconti di Truman Capote, o nei film di Quentin Tarantino, nel “non me ne frega niente, sì” di Vasco, nelle “Particelle elementari” dello stesso Houellebecq, o nella “perfezione che suona falso” di certo decadentismo, nel trucco della giraffa in “La grande bellezza” di Sorrentino ( metafora del “trucco” più generale ), nelle “120 giornate di Sodoma” e – mutato il dovuto quadro teologico – in Papa Francesco De Gregori ( “cinque figli/ venuti al mondo come conigli” è ripreso da “Generale” ) o, infine nella mera equiparazione del bisturi al burqa ( Nello sguardo delle “Femmes damnné” c’è il cielo, dice Baudelaire). Ecco dunque il problema: è il corto circuito tra giacobinismo e anarchismo, e – viceversa -, di nuovo tra anarchismo e giacobinismo, in cui si involge la cultura letteraria, filosofica ed etico-politica d’oltralpe. Come – per noi- il nocciolo duro sta nel confondere “storicismo” ( “Historismus” ) con “relativismo”. Alla stessa stregua che il dimenticato filosofo triestino Carlo Antoni vedeva ne “La lotta contro la ragione” del 1942 il viluppo tra riscoperta del sentimento e della poesia e della congiunta idea di nazione ( in antitesi all’imperialismo napoleonico ) e le degenerazioni del più bieco irrazionalismo. Giuseppe Brescia – Libera Università “G.B.Vico”
5 febbraio 2015 alle 19:11
Partiamo da un’idea molto legata alla contingenza storica. Per esempio all’Isis, all’orrore mediatizzato, allo spettacolo del trionfo della fede che punisce infallibilmente in nome di Dio. E’ una tesi tutta da dimostrare, naturalmente, ma è pur sempre una tesi. Mi convinco che alla base del fenomeno religioso ci sia l’appropriazione violenta ed esclusiva del Divino da parte dell’Umano. Il declino della religione è necessario perchè rinasca il senso del Sacro. Sembra quasi una provocazione e in realtà lo è.
Il vizio originario della religione, di ogni religione, soprattutto delle tre grandi religioni monoteiste consiste nella loro irrinunciabile tendenza a diventare positive. Quando una religione diventa positiva diventa istituzione (cfr Hegel, Vita di Gesù) e si chiude in un rigido dogmatismo che codifica la fede. Religione positiva quindi im-posta, affermativa di sé e negativa delle altre. Ma la religione ha un ulteriore carico di signifcazioni che la stessa parola contiene: religione è re-ligio, collegamento sostanziale e veritativo fra Uomo e Dio. Il Cristianesimo aggiunge come sostiene Camus un tratto originale, l’Incarnazione. Dio che si fa Uomo. “fate questo in memoria di me”, quindi l’eucarestia che rinnova il rito unitivo fra Cielo e Terra. Ma Cristo muore, deve morire e il Sepolcro è vuoto, come vuota è la vita del Crociato che lo ha conquistato (cfr Hegel, Fenomenologia dello Spirito). La morte di Cristo avrebbe potuto aprire le strade del Sacro e invece è nato il Cristianesimo, che è diventato Cattolicesimo, Religione universale.
E il Sacro? A differenza di ciò che pensa Girard il Sacro non è violenza e sacrificio. Il Sacro è malinconia e Desiderio di Assoluto, senza tuttavia che questo Désir-Appel (sintagma che ho coniato per interpretare il Senso del Sacro in Camus) sia soddisfatto, e quindi saturato. Camus ha esplorato il Sacro perchè alcuni suoi scritti, e penso soprattutto ai Saggi solari mettono in gioco quella Nostalgia che è Malinconia e struggimento di fronte a una Trascendenza che non si dà se non nell’Assenza, nella Traccia di un Desiderio che non ha termine, ma soltanto Origine. Se la Religione individua una Trascendenza che è Logos, il Sacro è l’apertura umana che ci permette di non immedesimarci con la Terra e di tenere aperte le porte della Trascendenza. Amare la vita è disperarsi per la vita in Camus sono la stessa cosa, perchè nel momento in cui l’amore è più forte è anche più impossibile. Per questo dice Camus “la Bellezza è insopportabile”, perché come la Mania platonica ci conduce alle soglie di una Trascendenza che come il domestico silenzioso de Le Malentendu non risponde alla nostra domanda di senso. Di fronte alle prepotenze e alla hybris dei fondamentalismi il Sacro si offre come la possibilità di resituirci la fragilità del nostro Essere e ci mette di fronte al Mistero, lontano dalla chiaroveggenza della Techne, come dalla prepotenza della Fede. Ma infine di questo Divino che non chiede nulla, che non giudica, non punisce, non premia, che cosa ne facciamo? Potrebbe essere del tutto inutile, la suppellettile di un passato remoto. Eppure il Senso del Sacro è proprio questa incondizionata gratuità, dis-posizione alla ricerca e al Desiderio, che si getta nel Vuoto di un Nulla sempre possibile.
28 febbraio 2015 alle 20:48
Finalmente una recensione che dimostra come chi l’ha scritta ha letto il romanzo.
Ciao luca, da un ex lankelot.
andrea
1 marzo 2015 alle 09:03
Ciao Andrea e grazie molte della tua visita. E’ un vero piacere “ritrovarsi”.
Quanto al libro, indubbiamente non il migliore di Houellebecq, offre sempre – faccio eccezione per “La carta e il territorio” che non ho letto – sufficienti spunti di riflessione. La mia, beninteso, è solo una lettura possibile. Ma la grande letteratura, per ambire ad essere tale, deve sapersi offrire ad una molteplicità interpretativa.
Un saluto,
L.