> di Leonardo Marcato*
Il convitato di pietra
Più di dieci anni fa fu organizzato un incontro tra due pensatori contemporanei la cui influenza continua ad essere fortemente presente in quegli ambiti di cui si sono occupati ed in quelle vite che il loro passaggio ha incrociato. Nell’aula magna dello IUAV, il 9 marzo 2004 a Venezia, Emanuele Severino e Raimon Panikkar si incontrarono dopo oltre trent’anni (la prima volta avvenne a Roma, in occasione dei famosi Colloqui Castelli, come loro stessi ricordarono in quel momento); ed è di quest’anno, finalmente, la pubblicazione del testo di quell’incontro. Leggere gli scambi di battute, le domande, le risposte ed il rispettoso disaccordo tra i due protagonisti restituisce almeno parzialmente l’atmosfera di quel giorno e la forza delle questioni sul tavolo. Uno dei punti dove la discussione si è fatta più serrata ed interessante, come emerge dal testo e come sottolineato nel commento scritto da Luigi Vero Tarca che accompagna il volume, è la metafora della rete e del mare. Per riassumere quello scambio, Severino sostiene che quando si va a pesca la rete cattura sempre il mare, e se qualcosa esce dalla rete dev’esserci una super-rete che comunque permette di comprendere il mare. Panikkar ribatte sostenendo che anche se si andasse a pesca, ci sarebbero comunque pesci catturati e pesci di cui non si sa nulla, perché escono dalle maglie della rete; il mare non sfugge né è preso, semplicemente sta – e comunque, lui non ha reti per pescare (Panikkar, Severino 2014, pp. 27-33).
Questo scambio traduce perfettamente in un’immagine metaforica ciò che sta alla base della filosofia dei due pensatori; Tarca la presenta nell’introduzione al dialogo e sviluppa le conseguenze dal punto di vista della sua proposta filosofica nel saggio di commento (Tarca 2014), individuando il punto cardine di questa metafora nel potere o meno conoscere la realtà dell’Essere e se queste prospettive così differenti possono trovare un punto comune di discussione. Discussione che si concluse con l’auspicio che questo incontro potesse rinnovarsi; sfortunatamente, il venir a mancare di Raimon Panikkar nel 2010 ha impedito il ripresentarsi dell’occasione.
V’è però un punto che occorre sottolineare per capire appieno questo dialogo, ed è un elemento che è in grado di offrire una luce approfondita a quello che sembra essere il fondamento filosofico della riflessione panikkariana tanto da un punto di vista epistemico che teoretico-esistenziale. Il convitato di pietra, in questo dialogo a tre di cui solo due sono parlanti, è Parmenide.
È noto come la riflessione su Parmenide sia centrale per la filosofia di Emanuele Severino, che lo si voglia identificare come il massimo esponente del neoparmenidismo contemporaneo oppure autore del parricidio definitivo già tentato da Platone. Non ci si vuole qui addentrare nel pensiero di Severino da questo punto di vista proprio per questa ricchezza di studi al riguardo, molti autografi dello stesso Severino; quello che si cercherà di proporre in questa sede è una camminata nei loci dell’Opera Omnia di Raimon Panikkar che possono meglio offrire aiuti alla comprensione di come si struttura la critica panikkariana al dogma parmenideo – con la speranza che questa panoramica, oltre che fornire spunti utili a ricerche future sulla teoresi panikkariana, possa aiutare nello spirito di discussione e dialogo che quel marzo 2004 auspicava continuasse.
Una nota metodologica
Perché l’Opera Omnia? Si tratta di una decisione metodologica presa consapevolmente e che merita di essere ben esplicata onde evitare fraintendimenti. Come Panikkar stesso dice, la costruzione dell’Opera Omnia e la sua suddivisione per temi è un modo per presentare la storia del suo pensiero in modo che tenti di trasmettere «non solo un problema intellettuale della mia mente, ma una preoccupazione del mio cuore e, ancor più, un interesse reale della mia intera esistenza» (Panikkar 2010a).
Pensata, progettata ed parzialmente pubblicata Panikkar vivente, l’Opera Omnia rappresenta la struttura definitiva di quello che l’autore ha cercato di dire nel corso della sua vita, pur con tutta una serie di caveat dovuti al fatto che si tratta di testi scritti in anni differenti. Per un pensatore che non ha mai considerato la necessità di scrivere un trattato o di strutturare un discorso necessariamente in divenire (RPOO VIII, p. 184), il pubblicare un’Opera Omnia di queste dimensioni va considerato come il voler stabilire non tanto il punto finale di un percorso ma un punto di partenza offerto agli altri. Tenendo ben fermo questa interpretazione del perché l’Autore ha deciso di offrire una simile sistematizzazione, è possibile coniugare il desiderio di dialogo e di confronto che ha spinto Panikkar a scrivere con la contingenza della sua scomparsa. Ovviamente non è possibile che un simile dialogo possa avere la stessa forza di quand’egli era presente, ma il porsi dell’Opera Omnia come stimolo aperto da interpretare e riattualizzare comunque consente a ciascun lettore di affrontarne lo studio in modo vitale e dinamico. Certamente ciò non è scevro da problematiche, come già accennato, che qui non si vogliono negare né dimenticare: prima tra tutti il fatto che sia stata pensata in italiano, che per quanto lingua ben conosciuta da Panikkar non era la sua di nascita. Ma è anche vero che ogni traduzione di un suo testo in una lingua ch’egli conosceva è stata curata e supervisionata da lui, fintanto che era in vita, garantendo quindi una almeno parziale dignità pari ad un manoscritto originale.
Da un punto di vista della ricerca scientifica sull’Autore, invece, questa caratteristica d’essere un affresco concepito e realizzato da Panikkar stesso non si può ignorare, così come sono di enorme aiuto i puntuali indici dei nomi al termine di ogni volume; quantomeno fintantoché non sarà possibile concentrare i propri studi su un’edizione critica della sterminata produzione scritta panikkariana. È necessario quindi, quando si tratta di Panikkar dal punto di vista accademico e scientifico, metodologicamente proseguire il più possibile su una traiettoria che tenga i volumi editi da Jaca Book come strada principale, lasciandosi però guidare da ciò che l’Autore ha scritto e che non rientrerà, per comprensibile scelta editoriale, all’interno dell’Opera Omnia. Pertanto, in questa sede nelle citazioni si indicherà un luogo dell’Opera Omnia attraverso una sigla composta dal numero romano del volume ed arabo dell’eventuale tomo, mentre testi (per ora) esterni ad essa con la normale indicazione di cognome e data.
Il dibattito, comunque, è aperto; non è questo il luogo di approfondirlo ulteriormente, ma lo scambio di opinioni tra Bielawski (2013) e Moreta (2013) è un interessante punto di partenza per chi volesse addentrarsi in questo campo.
La critica a Parmenide: una panoramica contro il frammento 3 Diels-Kranz
Uno dei punti cardine del pensiero panikkariano, se non addirittura quello che da l’avvio all’intera sua riflessione più nel contempo teoretica ed epistemologica (sia per come l’uomo conosce il mondo che per le conseguenze che ha sull’approccio alla scienza occidentale) è il rifiuto della capacità, da parte del Pensiero, di comprendere appieno l’Essere. Ciò non è un rifiuto della potenza della razionalità umana, anzi; è semmai un accettare che la Realtà non si esaurisca in ciò che la Ragione può comprendere di essa – e di conseguenza, dominarla. Questa intuizione fondamentale sembra essere al pari di quella cosmoteandria per cui Panikkar è ben più conosciuto, e si riverbera su ogni genere di riflessione, dal nominalismo scientifico (Panikkar 1980) alla costruzione della sua teoria del mythos (iniziata in Panikkar 1961, a compimento in RPOO IX/1) al rapporto tra medicina e religione (Panikkar 2010b, poi riedita in RPOO II, pp. 397-464). Il rifiuto che il Pensiero possa comprendere appieno l’Essere, inoltre, apre alla Realtà come sfaccettata – e, soprattutto, plurale (RPOO VI/1, in particolare pp. 51-70) instaurando quindi quel pluralismo che ha ripercussione ontologica nella nozione di inter-in-dipendenza od ontonomia (RPOO X/1 pp. 73-78; Tarca 2009; Calabrò 2011).
Si può capire quindi come il rifiuto del Pensiero identificato nell’Essere sia da tenere sempre a mente nel trattare teoreticamente Panikkar, quantomeno per la sua natura di punto iniziale della sua riflessione. E questo rifiuto si situa nella sua critica al “dogma parmenideo”.
Con questa espressione, il riferimento è quasi sempre al frammento 3 Diels-Kranz, quel to gar auto noein estin te kai einai «la stessa cosa è l’Essere ed il Pensare» che fonderebbe la cultura occidentale: parlando dell’esperienza monastica, scrive:
«Gli ultimi ventisei secoli di autocoscienza occidentale, culturalmente parlando, sono fondati su quel dogma assunto e accettato da Parmenide fino a Husserl, con sole poche eccezioni, consistente nel paradigma, formulato inizialmente da Parmenide, il quale dice che i due pilastri fondamentali su cui dobbiamo fare affidamento per essere umani e per avere un orientamento nel mondo sono il pensare e l’essere: nous e on» (RPOO I/2, p.270).
Cioè, come dice parlando della scienza delle religioni,
«se per “religione” intendiamo un sistema razionale di problemi più o meno dottrinali potrei allora essere incline a rispondere affermativamente alla domanda se la “scienza delle religioni comparate” sia alla fin fine possibile. In questo caso la razionalità è il criterio definitivo. Le dottrine devono essere razionali, oppure non sono dottrine. Nondimeno, non dovremmo dimenticare il circolo vizioso nascosto nella domanda stessa, vale a dire quello di interrogarci con le nostre menti circa la “possibilità” di un tale pensiero (delle nostre menti), come se le possibilità di pensare fossero identiche alle possibilità di essere (Parmenide)» (RPOO II, p.317).
Parmenide, insomma, non risulta essere un pensiero cui ritornare ma il fondamento d’ogni cosa l’Occidente abbia pensato ed elaborato, culturalmente e tecnologicamente: per via dell’accettazione acritica di questo dogma, dice Panikkar, la cultura occidentale è infatti convinta che qualunque cosa esista possa essere pensata, cioè compresa, calcolata, misurata. E pure quando il pensiero umano è mancante, comunque la forza di un Pensiero astratto permane, personificato nei monoteismi o proiettato in un progresso futuro della scienza nel monismo secolare della tecnologia: continuando,
«noi non possiamo comprendere tutto, ma postuliamo una mente razionale infinita che invece lo può, dato che tutto ciò che realmente è, deve essere comprensibile (di nuovo Parmenide!). Ma questa è già una estrapolazione non-razionale, dettata da un razionalismo soggiacente che osa imporre lo stesso postulato anche al mistero ultimo» (RPOO II, p.317).
Non si tratta qui di un’equivalenza biunivoca, quella che Panikkar indica, ma di una supremazia del Pensiero rispetto all’Essere, convalidata anche dal fatto che, ad esempio, posso pensare un unicorno senza necessariamente ammettere l’esistenza degli unicorni. Infatti ogni cosa che esiste è afferrabile dal pensiero, e non v’è nulla di incomprensibile: nel primo tomo del nono volume, in relazione al simbolo nella psicanalisi, si legge che
«Il pensare ci dice che cosa è l’essere. Questo pensare, quando si addentra nelle profondità dell’ordine qualitativo, è chiamato “filosofia”, quando si sofferma sull’ordine quantitativo è chiamato «scienza». È il pensare che decifra, rivela, mostra e dice e che ci consente di scoprire l’essere, la realtà; che ci consente, per esempio, di effettuare calcoli matematici e applicarli ai ponti affinché non crollino. È il pensare che contraddistingue l’uomo quale «animale razionale», anche se questa è la traduzione inadeguata di una massima aristotelica profonda: to zōon ton logon exon che significa «quell’animale in cui transita il logos, il linguaggio». L’uomo quale logofono del logos» (RPOO IX/1, pp. 240-241).
Si costituisce intrinsecamente all’essere umano la potenza totale del binomio essere-pensare dove la priorità è sempre sulla capacità razionale umana. Il fatto che siamo in grado di analizzare coscientemente ciò che abbiamo davanti, con risultati indiscutibili visti i costanti progressi della scienza, ha permesso al dogma parmenideo di rafforzarsi come stabile fondamento e presupposto di come ci si rapporta al mondo. Non v’è nulla fuori del pensiero perché l’identità è totale, ma il predominio è sempre sulla forza della mente umana – forza che ci rende consapevoli dell’ambiente in cui ci muoviamo ed in un certo qual modo di noi stessi. Per questo, poco più avanti nello stesso testo, Panikkar può dire che
«La direzione è quella dal pensare all’essere: il pensare scopre l’essere, ci dice che cosa è l’essere e che cosa è la realtà. Si tratta, poi, di cogliere i movimenti dell’essere per mezzo del pensare. Si tratta di essere coscienti» (RPOO IX/1, p. 241).
Le conseguenze che a partire da questo Panikkar trae riflettendo sulla scienza e sulla tecnologia dell’Occidente si possono già intuire, ma prima rimane da chiarire un punto: come, secondo lui, l’evoluzione del pensiero occidentale ha portato a dare dignità ontologica innanzitutto alla razionalità umana. La seconda parte di questo articolo, pertanto, a partire da questo aspetto ne indagherà le conseguenze presentando le due occorrenze più significative di Parmenide in Panikkar ed una eccezione, per poi offrire le conclusioni sotto forma delle direttive di una più approfondita ricerca.
(continua)
Bibliografia
CALABRÒ, P. Le cose si toccano, Raimon Panikkar e le scienze moderne, Diabasis, Reggio Emilia 2011.
PANIKKAR, R. “La demitologizzazione nell’incontro del cristianesimo con l’induismo”, in Castelli, E. (a cura di), Il Problema della Demitizzazione, atti del convegno indetto dal Centro Internazionale di Studi Umanistici e dall’Istituto di Studi Filosofici, Istituto di Studi Filosofici – Università, Roma 1961, pp. 243-266
– “Words and Terms”, in. Esistenza, mito, ermeneutica: scritti per Enrico Castelli, vol. 2, CEDAM, Padova 1980, pp. 117-133
– Tra Dio e il Cosmo, dialogo con Gwendoline Jarczyk, Laterza, Roma-Bari 2006
– Vita e Parola, la mia opera, Jaca Book, Milano 2010a
– La Religione, il Mondo ed il Corpo, Jaca Book, Milano 2010b
PANIKKAR, R.; SEVERINO, E. Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra occidente ed oriente, introduzione di Luigi Vero Tarca, Jaca Book, Milano 2014
PÉREZ PRIETO, V. Raimon Panikkar, oltre la frammentazione del sapere e della vita, Mimesis, Milano-Udine 2011
TARCA, L. V. “Raimon Panikkar e la razionalità occidentale”, in Carrara Pavan, M. (a cura di), I mistici nelle grandi tradizioni, omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009, pp. 203-229
– “La rete e il mare: due differenti testimonianze della verità”, in Panikkar, R.; Severino, E. Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra occidente ed oriente, Jaca Book, Milano 2014, pp. 45-68
Abbreviazioni Opera Omnia
RPOO I/1: Mistica Pienezza di Vita
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. I “Mistica e Spiritualità”, tomo 1, Jaca Book, Milano 2008
RPOO I/2: Spiritualità. Il cammino della vita
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. I “Mistica e Spiritualità”, tomo 2, Jaca Book, Milano 2011
RPOO II: Religione e Religioni
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. II, Jaca Book, Milano 2011
RPOO VI/1: Pluralismo e Interculturalità
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. VI “Culture e Religioni in Dialogo”, tomo 1, Jaca Book, Milano 2009
RPOO VIII: Visione Trinitaria e Cosmoteandrica: Dio-Uomo-Cosmo
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. VIII, Jaka Book, Milano 2010
RPOO IX/1: Mito, Simbolo, Culto
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. IX “Mistero ed Ermeneutica”, tomo 1, Jaca Book, Milano 2008
RPOO X/1: Il Ritmo dell’Essere, le Gifford Lectures
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. X “Filosofia e Teologia”, tomo 1, Jaca Book, Milano 2012
Sitografia
BIELAWSKI, M., Contro Parmenide, post su blog, http://goo.gl/UePhWF, postato il 29 novembre 2012, consultato il 10 aprile 2015
– Opera Omnia di Raimon Panikkar, post su blog, http://goo.gl/9enm6U, consultato il 9 aprile 2015
MORETA, I. A propósito de la Opera Omnia Raimon Panikkar: respuesta a Maciej Bielawski, post su blog, http://goo.gl/5DrhfA, postato il 17 ottobre 2013, consultato il 9 aprile 2015
*Leonardo Marcato (Camposampiero 1987), laureato in Filosofia presso l’Università di Siena ed in Scienze delle Religioni presso gli atenei di Padova e Ca’ Foscari di Venezia, è attualmente dottorando in Filosofia Teoretica presso l’università veneziana. Nel 2011 cura Riflessioni di un laico, scritti filosofici di Ascanio Pagello, accademico olimpico vicentino. Studia il pensiero di Raimon Panikkar e si interessa di filosofia della religione e digital philosophy.
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