Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

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La rivoluzione di Croce a cent’anni dal Contributo e nella crisi della filosofia europea

> di Giuseppe Brescia*

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Di fronte all’appariscente prevalere delle “filosofie analitiche” (cibernetiche, computazionali, epistemiche) rispetto alle cosiddette “continentali” (ermeneutiche, fenomenologiche, idealistiche o storicistiche), e al tentativo di ridurre il filosofare a una forma di “utile prassi”, si ripropone il lascito “rivoluzionario” di Croce, a cent’anni dal Contributo alla critica di me stesso (1915) e ormai centocinquanta dalla nascita.

Me ne occupai nel 1972, 1977-78, 1982, 1992, 2002 e 2012, coniugando l’attualità etico-politica con la ermeneutica filosofica, anche per confutare i presunti limiti di provincialismo culturale, conservatorismo etico, svalutazione della scienza e della teoria economica, imputati al filosofo da intellettuali ‘organici’ e variamente ‘militanti’. Distinguerei ora, in sintesi, dieci aspetti contenuti in nuce nel Contributo e atti a caratterizzarne il lascito : L’etica del lavoro e la “nobiltà del fare”; La Cura dell’angoscia e la incidenza della vitalità “cruda e verde”; Il culto della “Loica” nei tarocchi detti del Mantegna; La “lotta contro i demoni”; La esemplarità della “Filosofia del giusto”; La critica dei governi dei tecnici, “medici consultori”; L’abbozzo ermeneutico della importanza delle “mediazioni” nella circolarità spirituale; L’abbozzo ermeneutico della teoria del tempo, fulcro delle mediazioni; La ricerca di mediazioni tra giustizia e libertà, all’interno dei “modi” della ‘Libertà indivisibile’; e i Vertici della “Religione della libertà”. Continua a leggere


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L’uomo flessibile. Riflessioni su uno studio di Richard Sennett

> di Alberto Rossignoli*

I grandi uomini d’affari e i giornalisti insistono molto sulla globalizzazione e sull’impiego delle nuove tecnologie come tratti caratteristici del capitalismo (post-capitalismo?) contemporaneo. Ciò è abbastanza corretto, ma tralascia le nuove modalità di organizzazione del tempo, in particolare del tempo di lavoro.

Il “lungo termine” sembra essere scomparso: nel mondo del lavoro odierno sta sparendo la tradizionale carriera condotta nei corridoi di una o due aziende e la medesima cosa accade allo sviluppo di un insieme di competenze durante il corso di una vita lavorativa.
L’economista Bennett Harrison crede che la causa di questa tendenza al cambiamento sia il desiderio di profitti rapidi.
È chiaro che, in un contesto di rapidi cambiamenti, vacilla lo sviluppo della fiducia informale.
Secondo il sociologo Mark Granovetter, le moderne reti organizzative sono caratterizzate dalla “forza dei legami deboli”: per la gente, i rapporti occasionali di associazione sono più utili dei vincoli a lungo termine. Continua a leggere

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