Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

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Critiche biologiche alla teoria chomskiana della grammatica universale innata

> di Davide Russo*

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E’ così, ma tuttavia mi accorgo che, se si possono usare i caratteri per ragionare, è perché in essi sussiste qualche disposizione complessa o ordine che conviene con le cose stesse, se non nelle singole voci (anche se questo sarebbe meglio) almeno nella loro congiunzione e flessione. E vi è qualcosa che corrisponde a quest’ordine, sebbene variato, in tutte le lingue.1

ABSTRACT: La teoria chomskiana della grammatica universale innata come spiegazione della capacità di linguaggio presenta delle assunzioni collaterali molto forti e indifferenziate, su cui si sono concentrate le attenzioni dei critici, in quanto punti deboli della teoria: 1) Tomasello ha sottolineato l’importanza del contesto sociale e della sua dimensione intersoggettiva per l’apprendimento del linguaggio. Anche la grammatica viene concepita come un prodotto congiunto di eredità comunicativa e interazioni sociali all’interno di una “storia convenzionalizzata”. 2) Deacon ha sottolineato invece che anche le lingue hanno una loro storia evolutiva, progettandosi da sé, in un rapporto di stretta simbiosi con i loro ospiti umani (metafora del virus, o meglio, del simbionte). Vi è all’opera una dinamica co-evolutiva tra la lingua e il suo ospite, che produce l’evoluzione linguistica, come anche quella biologica del cervello umano. La teoria chomskiana delle regole grammaticali innate ha commesso l’errore di appiattire questo irriducibile processo di evoluzione biologico-culturale in una struttura formale statica.

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Michele Iacono: Il silenzio, il segno e la parola

> di Pietro Piro*

«In hoc signo vinces» è forse la più bella espressione che l’uomo abbia potuto coniare.
Con questo segno vinco, con un segno pieno, visibile e tangibile,
un segno di riconoscimento da tutti testimoniato.
Il commiato della parola dal segno, fa sorgere l’uomo moderno
lasciandolo solo nella sua parola,
che ora non ritrova più il perché di quella cosa.
Il segno è rimasto come scrittura, segno amorfo di dubbia esistenza,
lontano dalla contiguità che lo legava come la sella al cavallo.
Memoria di parole e non più di cose è il vano tentativo
dei poeti di colmare quel vuoto.

[Michele Iacono, Il silenzio, il segno e la parola]

Michele Iacono - Il silenzio, il segno e la parola

I.

Il pedagogista Michele Iacono con il suo recente libro: Il silenzio, il segno e la parola [1] con una prosa densa e diretta, cerca di affrontare temi complessi e spinosi, che egli stesso definisce arcani indecifrabili: la nascita dell’uomo, della parola e della mente [2]. Consapevole della difficoltà e della sedimentazione quasi infinita su questi temi, Iacono sceglie un metodo che procede per:

«Linee d’articolazione o di segmentalità, strati, territorialità; ma anche linee di fuga, movimenti di deterritorializzazione e di destratificazione» [3].

Quello di Iacono è un libro che procede per scosse e per tagli, introducendo elementi di critica e di autocritica e poi articolando ipotesi di rottura che successivamente si ricompongono in un’argomentazione serrata e lucida. Argomentazione di cui l’autore si fa carico evitando la nevrosi della continua citazione e regalandoci un testo integro e corposo.

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Categorie: Recensioni | Tag: coscienza, evoluzionismo, filosofia del linguaggio, genetica, Henri-Marie de Lubac, Julian Jaynes, Michele Iacono, , , scienze cognitive, | Permalink.

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