> di Paolo Calabrò
Se è vero che la morte è e rimane un mistero per l’uomo, è altrettanto vero che non è impossibile riflettervi collettivamente e stabilire un modo comune di porsi di fronte ad essa che sia migliore – o anche solo più consapevole e meno schiavo della coazione a ripetere i comportamenti di chi ci ha preceduti. La morte è infatti ben di più che il termine biologico della vita: da sempre l’uomo ha attribuito un significato simbolico particolare – strettamente correlato all’epoca e alla cultura – a questo evento che, in un modo o nell’altro, ha ritenuto di dover “celebrare ritualmente” e mai su di un piano strettamente individuale. Ma, a stretto rigore,
è possibile parlarne per dirne qualcosa che non sia ovvio? È utile riflettere su qualcosa di tanto ineluttabile e immodificabile che – comunque la si voglia mettere – resta per l’uomo la fine di ogni cosa?
C’è tanta ottima filosofia in questo libro di Edgar Morin, pensatore celebre per il suo monumentale trattato sul Metodo – e autore di innumerevoli opere, molte delle quali già tradotte in Italia da Erickson. Non solo una storia della morte, ma una riflessione approfondita interdisciplinarmente su questa realtà tanto unica, che a sua volta differenzia in maniera unica l’uomo dagli animali, l’individuo dalla specie, ciascuno di noi (con le proprie convinzioni e paure) da ciascun altro. Pubblicato per la prima volta nel 1950, questo studio (aggiornato dall’autore via via nel corso degli anni, fino a quest’ultima edizione) è importante e quanto mai attuale oggi – come ricorda opportunamente il curatore italiano, Riccardo Mazzeo[1], nella sua magistrale Nota introduttiva – nell’epoca della rimozione coatta della morte, sostituita dalla promessa (poco importa se illusoria) di una sempre protraibile giovinezza e di un godimento estenuato ed eternizzante. Un libro stupendo. Da non perdere.
E. Morin, L’uomo e la morte, ed. Erickson, 2014, pp. 370, euro 22. Tr. it. e cura di Riccardo Mazzeo.
[1] Che tra l’altro intervista l’autore in apertura del volume, a mo’ di Prefazione. Riccardo Mazzeo, intellettuale trentino che ha maturato il proprio spessore sulla linea di confine tra la sociologia e la letteratura, è autore di un libro a quattro mani con il celeberrimo sociologo anglopolacco Zygmunt Bauman, dal titolo Conversazioni sull’educazione (ed. Erickson); con il quale sta attualmente lavorando a una seconda opera, in preparazione per la prima metà del 2015.
19 ottobre 2014 alle 11:56
Sono certo che il libro di Morin sia, come grandissima parte dei suoi scritti, profondo e ricco di spunti filosofici e antropologici colti e originali. Mi permetto di dissentire (filosoficamente) con la prima affermazione di Paolo Calabrò quando dice che “la morte è e rimane un mistero per l’uomo”. Di per sé la morte è la cosa più frequente e più normale che c’è in un posto – quello che abitiamo noi – dove esiste la vita. Quando cessa un certo tipo di organizzazione della materia, lì si può dire che sia cessata la vita: se la morte coincide con la cessazione della vita (la qual cosa può, naturalmente, essere discussa) allora possiamo dire – con una stridente contraddizione di termini – che lì si sia realizzata la morte. L’oggetto e la variabile non è costituita dalla morte bensì dall’uomo che pensa alla morte: allora sì che la morte può diventare un oggetto arcano e misterioso come lo è ogni cosa a cui l’uomo vuole attribuire un senso nella dimensione, appunto, antropologica. In questo senso, la “vita” o il “tempo” non sono meno misteriosi della morte.
Fatte queste precisazioni che spero Paolo Calabrò vorrà perdonare, cederò alla sua lusinga e andrò a leggere il saggio di Morin.
19 ottobre 2014 alle 12:18
Caro Piero,
il Suo commento non va perdonato, ma apprezzato e commentato a sua volta. Credo che in realtà sul punto la pensiamo in maniera molto simile: la morte è un mistero esattamente come la vita; e non perché a esse l’uomo voglia ostinatamente (e forse ingenuamente) attribuire un senso, bensì perché entrambe mostrano ogni volta un’eccedenza rispetto al banalmente materiale e meccanico, eccedenza che richiede quel conferimento di senso. Ricordando la distinzione greca tra bios e zoe, evidenzieremo che la morte non è solo la cessazione della vita fisica (materiale o biologica che dir si voglia), ma quella della vita umana (che è più della meramente biologica). Al punto che – forse esagerando, ma non possiamo affrontare l’argomento qui – l’uomo ha sempre immaginato che la vita potesse continuare… oltre la morte del corpo.
Grazie per l’attenzione