Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Tradire la propria lingua E. M. Cioran

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> di Stefano Scrima*

libro cioran

Nella nota introduttiva a questo libretto a cura di Antonio di Gennaro, l’autore dell’intervista (rilasciata nell’autunno del 1985 presso l’Istituto Francese di Atene) Philippe D. Dracodaïdis ci dice come esista ancora un aspetto poco manifesto di Cioran, ossia l’uomo sorto dal tragico del pensiero balcanico, «la cui logica secerne il paradosso, l’assurdo, la complessità dell’evidenza e la verginità dell’invisibile» (p. 9). È grazie a queste radici che può formarsi uno Cioran per niente nietzscheano, «apostolo dell’impasse» (p. 10), indefesso contemplatore dell’inconveniente di essere nati. Ed è questo Cioran che emerge a tratti nelle risposte dell’intervista greca. Tuttavia, l’intento di Dracodaïdis è soprattutto capire le ragioni del rinnegamento della lingua rumena a favore del francese – Cioran, ormai stabilitosi a Parigi, inizierà a scrivere le sue opere nella lingua dei moralisti che più ama a partire dal 1949 –; ed è proprio questo il pretesto che ci porta sulle tracce delle sue origini balcaniche.

Adottare la lingua francese fu un’esigenza naturale, un bisogno di ordine. Sì perché il contenuto, quel particolare sentimento della vita che contraddistingue l’uomo Cioran, non è mai cambiato. Da una scrittura fin troppo libera, senza una tradizione letteraria che avesse stabilito parametri di gusto e stile, alla lingua della prosa per eccellenza, rigorosa e intelligibile, una lingua con cui non si può barare. L’evoluzione di Cioran, dunque – dichiara egli stesso – è stata solo sul piano dello stile, non su quello del pensiero. Il francese ha dato «una sorta di dignità all’espressione» (p. 17). Tuttavia, quella di Cioran è stata una scelta dettata anche da un vero e proprio rinnegamento di se stessi, dall’odio di sé. Ne La tentazione di esistere (1956), infatti, si scaglia contro il suo essere rumeno, l’appartenere a «una collettività di vinti, sulle cui origini nessuna illusione [gli] era concessa» (p. 39). Cioran maledice il caso rammaricandosi di non avere per sé nemmeno un Don Chisciotte che possa sedare le amarezze d’un popolo né conquistatore né folle né tantomeno decaduto: semplicemente insensato, «un compendio del nulla» (p. 40). Amare osservazioni, queste, che non passarono inosservate in Romania.

Che sia questa la tragedia balcanica di Cioran? Non avere una tragedia codificata dal suo popolo, semplice specchio dell’assurdità di esistere? Un uomo che viva fino in fondo questo sentimento di estraneità esistenziale non può non essere un uomo tragico.

Ad ogni modo, Tradire la propria lingua è un libretto accattivante e di grande interesse per chi vuole conoscere l’uomo Cioran che si nasconde – ma neanche troppo – dietro al cinismo «quasi insopportabile» (p. 23) dei suoi aforismi (e non solo); i suoi autori preferiti, evidentemente affetti dal suo stesso “tragicismo”; la sua vita a Parigi; i suoi pensieri sull’inesorabile rovina dell’Occidente e dell’uomo stesso – e d’altronde cos’altro ci si può aspettare da questa «creatura fallita»? (p. 13).


E. M. Cioran, Tradire la propria lingua. Intervista con Philippe D. Dracodaïdis (a cura di A. Di Gennaro, traduzione di M, Carloni), La scuola di Pitagora Editrice, Napoli 2015.

* Stefano Scrima laureato in Scienze filosofiche presso l’Università degli studi di Bologna con una tesi su Miguel de Unamuno. Ha studiato all’Universitat de Barcelona (progetto Erasmus) ed è stato visiting student all’Universidad Autónoma de Madrid (borsa di studio “Tesi all’estero”). È redattore della rivista filosofica Diogene Magazine. Ha scritto Esistere Forte. Ha senso esistere? Camus, Sartre e Gide dicono che… (Edizioni del Giardino dei Pensieri, Bologna 2013); Sum, ergo cogito. La “Fame rabbiosa di essere” di Miguel de Unamuno, in P. Vincieri (a cura di), Sull’identità personale(d.u.press, Bologna 2013); e curato Il mito di Prometeo. Il lavoro che c’è, il lavoro che manca (Edizioni del Giardino dei Pensieri, Bologna 2013) e il Dizionario della filosofia greca (Edizioni del Giardino dei Pensieri, Bologna 2012).

One thought on “Tradire la propria lingua E. M. Cioran

  1. Chi s’incammina verso la ricerca dell’essenza, filosofica, esistenziale, o di se stesso, è alla ricerca di una forma, di un’identità. Si può andare al di là della forma? Non proprio. Trovare il Nulla originario vuol dire identificarsi con l’inconscio collettivo, in cerca di una forma, trovare la propria essenza originaria, rimanda alla forma che vi è in potenza. Il Nulla richiede di essere personificato, non può Essere rimanendo muto, sarebbe a dire solo in potenza, dunque deve trovare esperessione in una forma. L’espressività completa non è detto che si raggiunga attraverso le proprie origini arcaiche, ma anche attraverso le ridondanze.

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