Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

La bellezza (non) ci salverà. Bauman e Heller a confronto

1 Commento

> di Paolo Calabrò

hellerbauman

Istintivamente è difficile immaginare che un capolavoro possa celarsi in un piccolo libro, di una sessantina di pagine appena: la filosofia ci ha abituati a letture defatiganti e all’idea che la densità del pensiero vada di pari passo alla lunghezza dell’esposizione. Eppure c’è sempre dietro l’angolo l’eccezione che conferma la regola; verrebbe da aggiungere: “quella che non ti aspetti”, ma nel caso di La bellezza (non) ci salverà, di Agnes Heller e Zygmunt Bauman (ed. Il Margine) c’era da aspettarselo eccome.

Comincia Agnes Heller, filosofa ungherese ultraottantenne e massima esponente della “Scuola di Budapest”, con la sua riflessione sulla bellezza tra l’antichità e la modernità: per lei – nel solco dell’estetica di Adorno – la bellezza è “promessa di felicità”, quella sensazione – di fronte a un’opera d’arte, ad esempio un quadro, che ci colpisce – che «ci fa desiderare ardentemente una vita all’interno di quel dipinto perfetto». E che magari non ci salverà (è scettica tanto rispetto alle prospettive religiose quanto a quelle metafisiche), ma di certo ci aiuta – al pari dell’amore e della libertà – a tener lontana la disperazione. In questo senso non c’è nulla di più utile alla vita della bellezza.
Bauman, con il suo ben noto approccio pragmatico, dà “un ulteriore giro di vite” a questo aspetto di utilità e si domanda: «Può la bellezza partecipare a tale sforzo [di rendere migliore il mondo] giocando in esso un ruolo significativo? E se ciò è possibile, che cosa deve essere fatto, per provare a fare di questo nostro mondo un posto migliore per tutti?» Trampolino da cui si lancia in un esame della distopia di questo secolo e di quello scorso, da Zamjatin-Huxley-Orwell ai recenti lavori di Houellebecq (La possibilità di un’isola) e di Haneke (Il nastro bianco), per concludere – in un excursus che passa per Foucault, Weber, Kundera – che la bellezza dell’opera moderna non sta nella sua capacità di produrre “posti immaginari in cui si vorrebbe stare”, bensì nel mostrare senza veli la bruttezza di quello in cui viviamo (il mondo d’oggi) onde superarne – si spera in meglio – la forma attuale.
Si farebbe però un torto all’editore se ci si fermasse qui, parlando di questo come di un libro scritto a (sole) quattro mani. Come rileva opportunamente il direttore editoriale, Paolo Ghezzi, nella sua Postfazione (che è anche un Glossario di termini baumaniani), sono almeno altri due i nomi da ricordare: quello di Francesco Comina, giornalista, che ha a lungo “corteggiato” la pensatrice in giro per l’Europa prima di riuscire a condurla in Italia con esiti tanto fausti. E quello di Riccardo Mazzeo, amico di Zygmunt Bauman e autore con lui di ben due libri, che ricorda – nella sua illuminante Prefazione al volume – quanto la bellezza sia ambivalente e legata a doppio filo alla sua antagonista – la bruttezza – caratteristica che rende, se non impossibile, quanto meno improbabile come candidata a “salvare l’umanità”. Mazzeo – intellettuale di spicco della scena trentina e nazionale – preferisce andare al di là di intenti così totalizzanti, in favore di quelle “illuminazioni” di musiliana memoria che ci portano al di là del brutale (e pulsionale) quotidiano verso una prospettiva di miglioramento personale e collettivo.
Una riflessione corale mirabilmente tesa fra la teoria e la prassi, di grande attualità, offerta a un prezzo ridottissimo in edizione rilegata a filo con risvolti.


Z. Bauman, A. Heller, La bellezza (non) ci salverà, ed. Il Margine, 2015.

Categorie: Recensioni | Tag: Agnes Heller, Aldous Huxley, bellezza, Francesco Comina, George Orwell, illuminazioni, metafisica, Michael Haneke, , Michel Houellebecq, Milan Kundera, Musil, Paolo Ghezzi, Religione, Riccardo Mazzeo, Scuola di Budapest, sociologia, Weber, Zamjatin, | Permalink.

Autore: Paolo Calabrò

Laureato in scienze dell'informazione e in filosofia, gestisco il sito ufficiale in italiano del filosofo francese Maurice Bellet. Collaboro con il bimestrale «Testimonianze», con le riviste online «Pagina3» e «AgoraVox.it» e «Mangialibri». Sono redattore della rivista online «Filosofia e nuovi sentieri». Ho pubblicato: L'intransigenza. I gialli del Dio perverso (ed. Il Prato, Padova 2015), romanzo noir ispirato ala teologia di Maurice Bellet; La verità cammina con noi. Introduzione alla filosofia e alla scienza dell'umano di Maurice Bellet (ed. Il Prato, Padova 2014) e Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne (ed. Diabasis, Reggio Emilia 2011), oltre a diversi saggi sul pensiero di Raimon Panikkar, di cui l'ultimo è «Lo scandalo dell'unicità e le sue conseguenze. La proposta ontologica di Raimon Panikkar» ("Conjectura: filosofia e educação, rivista di lingua anglo-italo-portoghese, aprile 2014).

One thought on “La bellezza (non) ci salverà. Bauman e Heller a confronto

  1. La bellezza di solito è legata al sentimento del Bene, del buono e dell’armonioso. Punto di arrivo della filosofia platoniana. La vita, ricordando Marx, comporta la lotta di classe, il doversi difendere dalle stesse Ombre, che lo stesso Platone intravede nel permanere dell’uomo nella caverna. Si può dunque affermare che la bruttezza, lo stato in cui l’uomo risiede se non attua un lavoro di disvelamento dell’autenticità, ricordando Husserl, sia la caratteristica della nostra realtà, e del bisogno del nostro attivarci per superarla. Una bellezza solo esteriore, può aiutare a riconosce l’Idea, platonicamente parlando, e intravedere quell’armonia di forme che si trova nel sovrasensibile. Non è inutile dire dunque che la bellezza aiuta, sperando che non sia solo esteriore, ma riesca a raggiungere l’interiore sentire, dunque ritorna la dicotomia bene-male, in cui vince il bene. Ricordando che l’armonia cercata non si trova facilmente, ma che bisogna effettuare tutto un percorso di disvelamento delle nostre pulsioni, molte volte sconosciute a noi stessi, e che la purezza si può riscoprire negli intenti positivi verso noi stessi e gli altri. L’altro aspetto non trascurabile di diffusione del Bene è la considerazione che “il fine giustifica i mezzi”, fattore non trascurabile della questione che stiamo trattando, non dimenticando che il dubbio debba far parte del percorso, e portare a ravvedimento anche il nostro possibile errore di valutazione nel cercare di “migliorrare” l’altro. La nostra azione di miglioramento dovrebbe riguardare soltanto la nostra persona, cercando di attuare cambiamenti in positivo in noi, e fungendo da esempio per gli altri.

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