Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Maurice Bellet introdotto da Paolo Calabrò

> di Daniele Baron

Calabrò_Bellet

Cosa accomuna l’economia, la psicoanalisi, la teologia, la filosofia, l’antropologia, la letteratura? Questo di primo acchito viene spontaneo domandarsi a uno sguardo di sorvolo sull’opera proteiforme di Maurice Bellet – filosofo, teologo e psicanalista francese – che si muove in tutti questi ambiti. Rimandando per il momento a dopo la risposta, ciò che voglio rimarcare ora è il fatto che la prima sensazione che ci donano la figura e l’opera di questo pensatore e scrittore è lo stupore per la sua versatilità, per la sua straordinaria capacità di cimentarsi con differenti ambiti, stili e saperi. La complessità del percorso di questo autore, ancora poco noto in Italia, è grande in primo luogo proprio in virtù di questo suo dono nello spaziare ed è pari alla sua originalità. Dobbiamo riconoscere, quindi, a Paolo Calabrò, nel suo La verità cammina con noi. Introduzione alla filosofia e alla scienza dell’umano di Maurice Bellet, Il Prato, 2014 Saonara (PD), un primo merito, quello di rielaborare un percorso ermeneutico “sistematico”, che ci dà una visione d’insieme e che coglie i principali nodi teoretici del pensiero di Bellet, organizzandoli per temi. Di fronte alla oggettiva difficoltà di trovare un bandolo, si tratta di un’ottima introduzione per inquadrarne il pensiero e per ricostruirlo nella sua totalità. Non una mera ripetizione o divulgazione, ma utile opera di appassionata sistemazione, spesso condotta su testi ancora non tradotti in Italia. Continua a leggere

Kramskoj - Cristo nel deserto (1872)


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Il dogma del cogito e la libertà del silenzio

> di Erika Ranfoni*

L’uomo esiste. Questo è un dato di fatto indiscutibile. Ciascuno di noi sente di esistere in un luogo e in un tempo. Ciascuno ha dunque la percezione chiara e distinta del proprio sé, ne ha coscienza. L’auto-consapevolezza è un sorta di postulato che domina tutta la nostra esistenza fin dal momento della nascita e nel corso dell’intera vita. Siamo posti e collocati nella grammatica del mondo reale fin dal principio come esseri capaci di leggerne i segreti più profondi perché dotati del fondamentale potere della percezione e del pensiero del proprio sé, potere che si erge come un a priori dogmatico e inconfutabile.

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anselm_kiefer


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Io è un altro – parte III

> di Daniele Baron

3. Immanenza-trascendenza: Divenire

La ricerca precedente ci ha condotto ad un punto che abbiamo definito provvisoriamente “originario”. Abbiamo visto che se identica è la sua apertura, la sua intuizione attraverso la consapevolezza derivante dalla formula “Io è un altro”, differenti sono i modi di abitarvi.
Di esso, però, abbiamo potuto dire poco, sembrando essere pensiero ed insieme qualcosa che al pensiero sfugge, coscienza ed insieme inconscio, un “luogo” che precede il rapporto soggetto-oggetto, che viene “prima” di ogni distinzione tra enti sul piano oggettivo. Come si vede, quando il linguaggio tenta di riferirsi a quella regione – scoperta intuitivamente da Rimbaud e ricompresa nel cogito da Sartre – è costretto all’imprecisione, attingendo ancora a termini di spazio (“luogo”) e tempo (“prima”), condizioni dell’esperienza sensibile oggettiva. Tuttavia, l’originario non può essere né nello spazio né nel tempo come accade agli oggetti. Per designare “qualcosa” che sfugge allo spazio ed al tempo il linguaggio è costretto, in modo paradossale, a ricorrere proprio a elementi afferenti allo spazio ed al tempo. Si può dire, dunque, che esso può affermare poco, ma quel poco risulta ancora troppo. E’ d’obbligo, infatti, la seguente precauzione: occorre specificare che il luogo non è un “dove” preciso, esula da ogni localizzazione (è pertanto in ultima analisi un “luogo non-luogo”) e precisare anche che il “prima” non va inteso in senso temporale ma semplicemente logico, un prima dunque che è sempre “prima di tutto”, e che a tratti può apparire (in Rimbaud ad esempio) come un “orizzonte”, una regione “a venire”, qualche cosa che sempre si allontana nel futuro a mano a mano che ci avviciniamo e che perciò diventa l’opposto: un “dopo” che è sempre un “oltre”. L’originario appare pertanto atopico ed acronico. E per complicare ancora di più il quadro già intricato, o forse per chiarire da dove nascano tali difficoltà, affermiamo in modo perentorio ancora due cose: in primo luogo, che esso non è affatto qualcosa, una cosa, un che di identico e di unitario, dato come oggetto, ma è ciò che sempre differisce da sé; secondariamente, che già il termine “originario” è fuorviante nella misura in cui fa pensare (per associazione di idee dovute ad una specifica tradizione interpretativa) a qualche cosa come ad un fondamento, una origine o un principio.

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"Gli eremiti" E. Schiele


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Io è un altro – parte II

> di Daniele Baron

2. Jean-Paul Sartre – L’Io trascendente la coscienza

Jean-Paul Sartre riprende la formula di Rimbaud “Je est un autre” ne La Transcendence de l’Ego. Pur tenendo conto della diversità di linguaggio e di ambito, si può affermare che Sartre qui elabora una concezione particolare della coscienza e del campo trascendentale che sembra collimare con l’intuizione di Rimbaud.
Premetto, in ogni caso, che la riproposizione della formula avviene solo in un punto della “Conclusione” di questo libro e, se consideriamo l’opera nel suo complesso, il riferimento è marginale. L’opera di Sartre, pubblicata nel 1936 nella rivista “Recherches philosophiques”, oltre che segnare il suo esordio filosofico ufficiale, rientra nell’ambito dei suoi studi sulla coscienza trascendentale a partire dalla fenomenologia di Husserl. A La Transcendence de l’Ego deve essere affiancato un altro saggio molto breve, scritto parallelamente, ma pubblicato solo in seguito (nel 1939), vale a dire Une idée fondamentale de la phénoménologie de Husserl: l’intentionnalité.
Entrambi sono il frutto della sua elaborazione personale delle dottrine di Husserl e sono stati scritti durante un viaggio-studio a Berlino nel 1933-34. Il suo intento è di radicalizzare alcune nozioni della filosofia del pensatore tedesco sulla coscienza trascendentale. Il lavoro sulla fenomenologia proseguirà poi con i suoi studi sull’immaginazione e sull’immaginario.
Differenti sono gli interessi di Sartre, più prettamente filosofici ed il riferimento a Rimbaud si contretizza nel finale dell’opera, solo en passant.
Tuttavia, solo a prima vista. Io credo, infatti, che un legame di analogia ben più profondo possa essere stabilito a partire dalla formula “Io è un altro” tra le posizioni di Sartre e di Rimbaud.

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