Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Ritorno o Fondamento? Tracce per un’analisi dell’interpretazione panikkariana di Parmenide a partire dal dialogo tra Raimon Panikkar ed Emanuele Severino – Parte seconda

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> di Leonardo Marcato*

Il primato ontologico del Pensiero: la scienza moderna
Nella prima parte di questo articolo si è cominciato a mostrare come Panikkar rifiuti il modo con cui la civiltà occidentale, nel corso dei secoli, ha costruito la propria struttura riconoscendo l’identità tra Pensare ed Essere, sin dal dettato parmenideo del frammento 3 Diels-Kranz, sempre in una direzione che parte dal pensare e giunge ad in-formare l’essere. In un certo qual modo, quindi, accettare acriticamente il dogma parmenideo significa donare una priorità non solamente gnoseologica ma anche ontologica alla capacità razionale umana di analizzare in senso logico ogni dato, empirico e non. E se qualcosa non è pensabile secondo i canoni della razionalità e della logica, sembra provocatoriamente dire Panikkar, allora non esiste: ad esempio, parlando del divenire, nel primo tomo del decimo volume che raccoglie le Gifford Lectures l’autore ricorda:

«Zenone di Elea, da bravo allievo di Parmenide, negherà il movimento (e, in ultima analisi, il Divenire) perché la nostra mente non può comprenderlo» (RPOO X/1, p. 133).

La realtà non può che mostrarsi nel suo Ritmo dell’Essere, cioè dinamica cosmoteandrica: per questo quando si analizza il singolo ente, come una mela od un atomo, per non tradire l’assioma scolastico de singolaribus non est scientia la tecnologia contemporanea trasla dal singolare irriducibile ad una concettualizzazione, cioè il dato scientifico, l’ente che in quel momento tratta (Panikkar 1980).
Attraverso questa forza del Pensiero occidentale infatti si manifesta l’onnipotenza della tecnologia e della scienza:

«Tutta la scienza moderna implica che sia proprio il nous, l’attività di pensiero, la matematica, il calcolo, a dirci come sarà l’essere, come l’essere si comporterà. Utilizzando la geometria di Riemann, il , i numeri immaginari e via dicendo, noi pensiamo, e con il nostro pensiero costruiamo grattacieli, ponti… ed essi stanno effettivamente in piedi» (RPOO I/2, p.270).

In altre parole, il pensiero inteso come razionalità in grado di comprendere la totalità dell’Essere assurge ad un ruolo determinante anche nel modificare il mondo, sempre per quella direzione inevitabilmente dal Pensare all’Essere cui si accennava poco più sopra:

«Se io penso l’essere, se penso questo, non posso pensare il non-questo, e il questo deve rimanere tale fino a quando dura la mia attività di pensiero. Altrimenti, se questo non rimane lo stesso, non saprei che cosa sto pensando. Se tu pensi “due tulipani e due rose sono quattro fiori”, dopo cinque minuti, due tulipani e due rose devono essere ancora tulipani e rose per essere quattro fiori. Pensare – per dirla in breve – congela l’essere. I tulipani devono rimanere tali. Il pensare presuppone che l’essere sia ciò che esso pensa che sia. Tutte le leggi e tutta l’etica ne derivano di conseguenza, proprio perché il pensare mi dice ciò che l’essere è e ciò che la verità è. L’essere pertanto è plasmato e, in un certo senso, fissato dal pensiero. Se è vero che l’essere non è prigioniero del pensiero, perché deve essere “pensato” come anteriore al pensiero, deve tuttavia attenersi alle regole del pensiero, che diventano le regole dell’essere. Le regole dell’essere sono postulate dalle regole del pensare» (RPOO I/2, p.270).

Tutto questo deriva sin dai primi momenti greci della filosofia, e si vede più chiaramente, per Panikkar, quando ci si confronta con altre visioni del mondo:

«Come è possibile, si chiede una mentalità cinese tradizionale, che l’Occidente abbia creduto che la teoria (theoria) sia il modello (eidos) dell’azione (praxis) e quindi della creazione (poiesis). Come ha potuto crederlo per tanti secoli se i “fatti” la smentiscono clamorosamente. Senza un modello intellettuale, da Platone in poi, o senza una causa finale, da Aristotele in poi, pare che l’uomo non possa fare nulla di autenticamente umano. Di più, si ritiene che la volontà sia sempre un fattore cruciale. (…) Il mito soggiacente è la credenza, sempre monista, secondo cui operari sequitur esse, l’azione segue l’essere, come formulato dalla scolastica o nella sua formulazione inversa come hanno creduto, tra gli altri, i marxisti. Da quando questi geni greci optarono per il monoteismo come unico principio supremo, l’Occidente ha seguito questo mito – a prescindere dalle sue molteplici variazioni concettuali e dalle varie interpretazioni portate a compimento dal logos. Potremmo risalire a Parmenide, però non è il caso. Voglio solo dire che il pensiero cinese, per esempio, e su scala minore una buona parte di quello indiano, non segue queste vie. La realtà non viene “modellata” dalla forma, l’azione non è frutto del pensiero, né l’opera di un precedente modello. La ragione non è (l’unica) guida del comportamento umano né della realtà. Il pensiero non “governa” l’essere» (RPOO IX/1, pp. 61-62).

Qui, in altri termini, si apre il contributo che una prospettiva interculturale aperta ad altri modi di approcciarsi al mondo ed alla Realtà può offrire: ciò sembra indicare anche un problema nel momento in cui ci si vuole concentrare ulteriormente nello studio dell’interpretazione panikkariana di Parmenide, ma di questo si tratterà nel prossimo punto.
Per tornare al tema, nel momento in cui si accetta la supremazia del Pensiero sull’Essere diviene possibile la scienza e con essa i grandi successi dell’Occidente. Attenzione a non intendere questo come una lode alla tecnica tout court; la critica alla tecnologia è forte in Panikkar, ma per quanto pertiene a questo breve excursus basti ricordare come l’arroganza di estendere la forza del Pensiero, della ragione, della tecnica logica a ogni cosa che esiste ha portato storicamente a gravi conseguenze sull’ambiente, sull’umanità e sul divino (per rifarsi anche qui alla cosmoteandria; cfr Panikkar 2001).
Emerge, quindi, la necessità di rivedere la concezione classica che sta alla base di quello stesso procedimento elenctico che, come ricordato in apertura, permette a Severino di proporre l’immagine della rete e del mare nel suo dialogo con Panikkar. Basta sostituire “Essere” a “mare” e “Pensare” a “rete” ed il convitato di pietra si alza per far sentire la sua voce: da una parte la filosofia occidentale, figlia di Parmenide, dall’altra una prospettiva plurale che ne mette in dubbio la possibilità di creare un sistema che descriva la totalità del Reale. La logica da sola non può farcela, sembra dire Panikkar: è necessario un passo ulteriore, che accetta un linguaggio ed un’epistemologia di tipo mistico (RPOO I/1, pp. 169-174) come non sostitutivo ma integrante la razionalità per l’approccio all’Essere che sfugge-e-non-sfugge alla rete.

«Lo schema parmenideo, oltre al quale sto tentando di andare, gioca con il paradigma duale Essere/Non-essere, dei quali il primo è ed il secondo non-è. Se lo accettiamo come punto di partenza, non c’è molto da aggiungere, ma allora una esperienza umana pressoché universale che “parla” dell’“inesprimibile” è pura contraddizione e non ha alcun senso. Se non presupponiamo quel quadro parmenideo fin dal principio, non abbiamo bisogno di ridurre il nostro paradigma al dilemma Essere o Non-Essere, e possiamo quindi considerare l’essere come l’intera realtà, che tracima oltre gli argini sorvegliati dal pensiero, nel senso già prima descritto. Il paradigma diventerebbe allora: Essere (Realtà) – Discorso (Linguaggio) – Pensiero (Razionalità). C’è infatti, quale manifestazione primordiale dell’Essere, un discorso che, come testimoniano tante tradizioni, va oltre il regno del pensiero. Il campo linguistico dell’Essere è più ampio del suo campo teoretico. Il pensare rivela l’Essere come almeno potenzialmente intelligibile. La parola è la rivelazione dell’Essere come Silenzio. È tramite la porta della parola che noi entriamo in quel silenzio che non è né Essere né Non-Essere» (RPOO X/1, p. 122).

Un’eccezione ed i punti più significativi
Si è detto che quasi tutte le occorrenze si rifanno al frammento 3; l’unica che, fin’ora, è risultata chiaramente riferita ad un altro punto del poema dell’eleata è nell’esposizione della vacuità di Dio all’interno dell’intuizione cosmoteandrica, sempre nelle Gifford Lectures:

«Se Non-Essere ha un senso, significa che la nostra mente possiede uno strabiliante potere sull’Essere, dal momento che può addirittura negarlo. La dialettica è il trionfo su Parmenide: l’Essere è e Non-Essere non è. La nostra mente regna sovrana. Si può negare l’Essere. L’Essere deve obbedire ai dettami della mente: il pensiero comanda l’Essere» (RPOO X/1, p. 404).

Qui la critica è al frammento 6, e sembra suggerire che nel portare alla massima conseguenza il potere del Pensiero sull’Essere è possibile negarlo – quasi la prospettiva inversa di quella stessa forza elenctica che invece dovrebbe rafforzarne la totale comprensibilità ed esistenza.
Ma le due occorrenze più significative di questo punto teoretico non è un caso siano entrambe non nelle Gifford Lectures, il testo più filosoficamente e teologicamente pregnante, bensì nel primo tomo del sesto volume, Pluralismo ed Interculturalità. La prima in ordine di significato è nella sezione dell’interculturalità, una lunga digressione in chiusura alla trascrizione della conferenza inaugurale ad un Congresso di Filosofia Interculturale nel 2004, ed in esso Panikkar ricostruisce l’evoluzione del dogma parmenideo sullo sfondo dei monoteismi storici occidentali. V’è una problematica in questo, che verrà indicata con maggior chiarezza in chiusura; in esso, però Panikkar è estremamente cristallino nel mostrare come secondo lui l’intera civiltà filosofica, culturale e scientifica occidentale sia costruita sulle fondamenta stabilite dal frammento 3 D-K.

«Negli ultimi ventisei secoli l’Occidente è vissuto nel fascino del principio di Parmenide. L’Essere si rivela nel Pensare e il Pensare ci rivela l’Essere – con minori o maggiori modifiche alla Hegel, ma in definitiva l'”io penso” riflette ciò che è – dal chi sono io a quello che io sono. E il mio comportamento deve adeguarsi alle mie idee. Si capisce quale sia l’attrattiva e la potenza di una tale visione. Come altro possiamo arrivare alla realtà se non con il pensiero, dal momento che abbiamo scoperto che i sensi ci possono ingannare? Come possiamo trascendere il pensiero che pensa l’Essere, se non con lo stesso pensare?» (RPOO VI/1, p. 199)

Ripercorrendo la storia della filosofia, Panikkar indica come l’orma lasciata da Parmenide sia stata via via rafforzata e resa più netta ed inossidabile dall’evoluzione del monismo ontologico prima e religioso poi: così Cartesio recupera il Dio di Mosè, legislatore e che rivela all’uomo che l’Essere Deve-Essere, per giustificare la totale certezza della razionalità. Certezza che già prima, in epoca romana, aveva fatto da base alla civiltà stessa prima con la razionalità dello ius naturalis, che è nomos aristotelico, e poi con la patristica, dove sant’Agostino indica “illa lex quae summa ratio nominatur“.

«La simbiosi tra la genialità giudaica e il genio romano, unita all’interpretazione particolare del padre della filosofia dell’Occidente, ha prodotto il grande monumento della cultura occidentale cui in seguito si sono aggiunti importanti contributi, sempre però accessori, all’edificio principale di cui abbiamo detto. Parmenide ci fornisce la base, Mosè la giustificazione e Roma l’applicazione» (RPOO VI/1, p. 201).

L’evoluzione storica dell’accettazione acritica del dogma parmenideo ha segnato in maniera indelebile l’atteggiamento sottostante (e, per Panikkar, presupposto) a tutta la riflessione che da esso ha preso inizio – tramutandosi in ogni sfaccettatura di monismo e dualismo che cerca una corretta conoscenza.

«Se l’Essere è ciò che è e ciò che è viene identificato con ciò che il Pensare pensa che è, risulta ovvio oltre che necessario elevare l’epistemologia al rango più alto, dal momento che solo la corretta conoscenza ci rivelerà la realtà, l’Essere. Orbene, questo Essere scoperto dal nostro pensare è immutabile dato che il nostro pensiero non può ammettere che le leggi logiche del pensare dicano oggi una cosa e domani un’altra. Due più due fa quattro ora e sempre. L’Essere sarà dunque immutabile. Dio non cambia. Ciò che Deve-Essere garantisce l’accesso del nostro Pensare all’Essere. La verità sarà dunque essa pure immutabile, ovviamente nell’uguaglianza di condizioni e di contesti» (RPOO VI/1, pp. 201-202).

La seconda occorrenza significativa è nella sua proposta di dialogo dialogale, sempre nello stesso tomo, e mostra chiaramente che l’obiettivo critico non è Parmenide in sé, ma la ricezione e l’interpretazione che di lui è stata fatta. Già nel brano appena citato si ricorda come “il vero Parmenide scrivesse poesie con un linguaggio che non era parmenideo”, e che «la ricezione di Parmenide è stata ridotta alla formula “Essere è Pensare, Pensare è Essere”» (RPOO VI/1, p.199); ma in questa occorrenza emerge con maggiore dettaglio ciò che Panikkar sembra voler dire, pur non espandendo il suo discorso.

«L’uomo non è solo mente e pertanto la filosofia, intesa come quell’attività umana che cerca, con tutti i mezzi che considera appropriati, di dar senso alla vita e alla realtà, non può escludere a priori la partecipazione esistenziale del corpo e dell’azione umana. La filosofia interculturale libera la filosofia post-parmenidea dalla sua gabbia mentale, o, per essere più precisi, dalla sua struttura concettuale, salvando il genio di Parmenide mediante un’altra possibile e differente lettura del suo poema» (RPOO VI/1, pp. 263-264).

Conclusioni e direttive di ricerca
Questa citazione ci porta direttamente, infatti, alla prima delle conclusioni. Panikkar critica una particolare interpretazione di Parmenide, ma qual è la sua interpretazione? È coerente con quella che accusa l’Occidente d’aver dogmatizzato oppure ne ha una differente? Per rispondere a questa domanda è necessario uno studio ulteriore della produzione panikkariana, anche uscendo dalla strada dell’Opera Omnia ed andando a confrontare la sua sterminata mole di articoli, ma comunque è utile indicare due punti chiave da tener presente al riguardo – anche solo per mostrare quali sono le attuali direzioni della ricerca sul tema.
Il primo è il già citato fatto che la quasi totalità delle occorrenze appiattisce il pensiero di Parmenide su ciò che emerge dal frammento 3. In questo modo si tende, nella lettura, ad uniformare questa percezione con ciò che Parmenide sembrava voler comunicare; ma come la storia della critica ricorda e come Panikkar stesso abbiamo visto sa, non necessariamente v’è un unico modo di interpretare Parmenide. Panikkar ne è consapevole, così come sembra comunque porre i suoi omaggi al “genio parmenideo”, ma non c’è una occorrenza che possa per ora approfondire qual è l’interpretazione panikkariana di Parmenide. C’è la possibilità di intravedere, anche in lui come in Severino, la necessità di un “ritornare a Parmenide” che ne faccia emergere un messaggio originario scevro delle sovrastrutture storiche? Oppure Panikkar è totalmente contra Parmenides (Bielawski 2012) e non c’è alcuna possibilità di assoluzione? È una domanda indubbiamente fondamentale, la cui risposta richiede ulteriori studi, ma già dall’utilizzare questa chiave di lettura antiparmenidea per approcciarsi alla filosofia panikkariana si possono trarre delle conseguenze interessanti.
Il secondo punto è legato all’evoluzione storica che traccia. Per quanto acuta, essa rischia di tralasciare molte delle fonti, dei contributi e delle riflessioni che hanno spinto quest’identità Pensare-Essere ad essere determinante. «Parmenide ci fornisce la base, Mosè la giustificazione e Roma l’applicazione», abbiamo già ricordato; ma Platone dialoga con l’eleata e costruisce il pluralismo delle idee, Aristotele ne arricchisce e struttura la formazione con il principio di non-contraddizione, Cartesio screma eventuali dubbi raddoppiando la forza del pensiero – e Panikkar di questo, come si è visto, è pienamente consapevole. Se Parmenide è veramente le fondamenta della cultura occidentale, allora sono molti i mattoni che ne hanno costruito la struttura. Quanto di ciò che emerge di Parmenide dalle pagine panikkariane è parmenideo e quanto frutto dell’evoluzione storica che il dogma parmenideo ha subito? Risposta parziale può darla già l’ultima citazione portata, come accennato poco sopra, ma neppure in questo senso sembrano esserci delle occorrenze chiare e la ricerca è tutt’ora aperta.
In conclusione, è speranza che questa veloce esposizione delle occorrenze più significative di Parmenide nell’Opera Omnia possa dare dei punti saldi per chi vuole approcciare il testo del dialogo tra Panikkar e Severino, soprattutto l’affascinante ed evocativa immagine della rete e l’inarrestabile risposta rigorosamente elenctica che Severino ha dato alla battuta panikkariana. I rapporti tra Severino e Parmenide sono frutto di costante riflessione, sia dallo stesso filosofo che da altri autori, mentre quelli tra Panikkar e Parmenide meritano ancora di essere analizzati a partire da quei punti cardine fondamentali che si spera siano emersi con chiarezza dal presente contributo. È però convinzione che sia in questo punto lo scontro fecondo che i due grandi pensieri hanno messo in campo: da una parte la dimostrazione della forza della logica umana, dall’altra il riconoscere questa forza all’interno del suo stesso campo d’azione, ma ricordando che il mare, che sfugga o non sfugga, rimane sempre presente.

Bibliografia
CALABRÒ, P. Le cose si toccano, Raimon Panikkar e le scienze moderne, Diabasis, Reggio Emilia 2011.
PANIKKAR, R. “La demitologizzazione nell’incontro del cristianesimo con l’induismo”, in Castelli, E. (a cura di), Il Problema della Demitizzazione, atti del convegno indetto dal Centro Internazionale di Studi Umanistici e dall’Istituto di Studi Filosofici, Istituto di Studi Filosofici – Università, Roma 1961, pp. 243-266
– “Words and Terms”, in. Esistenza, mito, ermeneutica: scritti per Enrico Castelli, vol. 2, CEDAM, Padova 1980, pp. 117-133
Tra Dio e il Cosmo, dialogo con Gwendoline Jarczyk, Laterza, Roma-Bari 2006
Vita e Parola, la mia opera, Jaca Book, Milano 2010a
La Religione, il Mondo ed il Corpo, Jaca Book, Milano 2010b
PANIKKAR, R.; SEVERINO, E. Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra occidente ed oriente, introduzione di Luigi Vero Tarca, Jaca Book, Milano 2014
PÉREZ PRIETO, V. Raimon Panikkar, oltre la frammentazione del sapere e della vita, Mimesis, Milano-Udine 2011
TARCA, L. V. “Raimon Panikkar e la razionalità occidentale”, in Carrara Pavan, M. (a cura di), I mistici nelle grandi tradizioni, omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009, pp. 203-229
– “La rete e il mare: due differenti testimonianze della verità”, in Panikkar, R.; Severino, E. Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra occidente ed oriente, Jaca Book, Milano 2014, pp. 45-68

Abbreviazioni Opera Omnia
RPOO I/1: Mistica Pienezza di Vita
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. I “Mistica e Spiritualità”, tomo 1, Jaca Book, Milano 2008
RPOO I/2: Spiritualità. Il cammino della vita
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. I “Mistica e Spiritualità”, tomo 2, Jaca Book, Milano 2011
RPOO II: Religione e Religioni
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. II, Jaca Book, Milano 2011
RPOO VI/1: Pluralismo e Interculturalità
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. VI “Culture e Religioni in Dialogo”, tomo 1, Jaca Book, Milano 2009
RPOO VIII: Visione Trinitaria e Cosmoteandrica: Dio-Uomo-Cosmo
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. VIII, Jaka Book, Milano 2010
RPOO IX/1: Mito, Simbolo, Culto
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. IX “Mistero ed Ermeneutica”, tomo 1, Jaca Book, Milano 2008
RPOO X/1: Il Ritmo dell’Essere, le Gifford Lectures
– PANIKKAR, R. Opera Omnia, Vol. X “Filosofia e Teologia”, tomo 1, Jaca Book, Milano 2012

Sitografia
BIELAWSKI, M., Contro Parmenide, post su blog, http://goo.gl/UePhWF, postato il 29 novembre 2012, consultato il 10 aprile 2015
Opera Omnia di Raimon Panikkar, post su blog, http://goo.gl/9enm6U, consultato il 9 aprile 2015
MORETA, I. A propósito de la Opera Omnia Raimon Panikkar: respuesta a Maciej Bielawski, post su blog, http://goo.gl/5DrhfA, postato il 17 ottobre 2013, consultato il 9 aprile 2015

*Leonardo Marcato (Camposampiero 1987), laureato in Filosofia presso l’Università di Siena ed in Scienze delle Religioni presso gli atenei di Padova e Ca’ Foscari di Venezia, è attualmente dottorando in Filosofia Teoretica presso l’università veneziana. Nel 2011 cura Riflessioni di un laico, scritti filosofici di Ascanio Pagello, accademico olimpico vicentino. Studia il pensiero di Raimon Panikkar e si interessa di filosofia della religione e digital philosophy.

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2 thoughts on “Ritorno o Fondamento? Tracce per un’analisi dell’interpretazione panikkariana di Parmenide a partire dal dialogo tra Raimon Panikkar ed Emanuele Severino – Parte seconda

  1. Parmenide, al fine di evidenziare, salvaguardare la cifra dell’Essere (che per essere non può che essere) nonché quella del Pensiero (A=A e non è non A), coincidenti, entrambi, con l’essere/dover essere, esaspera, assolutizza questa dimensione unitaria, identitaria, logico-ontologica, dando luogo alla sua ontologia monistico-idealistica.
    E ciò, fino al segno di negare dignità, appunto, pure, ontologica, alla molteplicità, materia, divenire; e gnoseologica, all’esperienza sensibile, ovviamente, dialettizzata con la Ragione e la Realtà oggettiva.
    Ciò potrebbe costituire il “mare” – spero, infatti, che non sia inteso come nirvana, inteso come “notte, dove tutte le vacche sono nere” o, peggio, come irrazionale, nulla eterno – che, per essere, giustamente, decifrato, rivalutato nella sua – benché non, almeno assolutamente, alternativa dignità ontologica, si deve far, pure, i conti con l’Essere eleatico, col Logos (l’Essere è), ma, a un tempo, deve essere configurato, come quel contesto spazio-temporale, che – al di là delle cure parmenidee, tese a salvare la dimensione, a suo avviso, essenziale dell’Essere, dalla contraddizione e dal Male – non va negato come dimensione, sia pur degradata, emanata dell’Essere; costituendone, anzi, misteriosamente, la condizione inverante, creativa, espansiva.
    E di ciò era ben avvertito – oltre che Platone, benché, questo, solo, riguardo alla molteplicità delle idee- il grande Aristotele – finanche alla stessa Materia!

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  2. La razionalità, espressa attraverso il numero, apre orizzonti della mente considerati irrazionali. Una netta separazione tra irrazionale e razionale è puramente illusoria. L’Uno parmenideo parte dal bisogno di ordinare un mondo caotico, dove forze divergenti si contrappongono, il vortice attraverso cui queste ultime vengono risucchiate, si può effettivamente denominare Uno in quanto l’ordine vi vige. Non chiamiamo corpo un elemento composto da più parti, ordinati con logica di funzionamento?

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