Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

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Critiche biologiche alla teoria chomskiana della grammatica universale innata

2 commenti

> di Davide Russo*

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E’ così, ma tuttavia mi accorgo che, se si possono usare i caratteri per ragionare, è perché in essi sussiste qualche disposizione complessa o ordine che conviene con le cose stesse, se non nelle singole voci (anche se questo sarebbe meglio) almeno nella loro congiunzione e flessione. E vi è qualcosa che corrisponde a quest’ordine, sebbene variato, in tutte le lingue.1

ABSTRACT: La teoria chomskiana della grammatica universale innata come spiegazione della capacità di linguaggio presenta delle assunzioni collaterali molto forti e indifferenziate, su cui si sono concentrate le attenzioni dei critici, in quanto punti deboli della teoria: 1) Tomasello ha sottolineato l’importanza del contesto sociale e della sua dimensione intersoggettiva per l’apprendimento del linguaggio. Anche la grammatica viene concepita come un prodotto congiunto di eredità comunicativa e interazioni sociali all’interno di una “storia convenzionalizzata”. 2) Deacon ha sottolineato invece che anche le lingue hanno una loro storia evolutiva, progettandosi da sé, in un rapporto di stretta simbiosi con i loro ospiti umani (metafora del virus, o meglio, del simbionte). Vi è all’opera una dinamica co-evolutiva tra la lingua e il suo ospite, che produce l’evoluzione linguistica, come anche quella biologica del cervello umano. La teoria chomskiana delle regole grammaticali innate ha commesso l’errore di appiattire questo irriducibile processo di evoluzione biologico-culturale in una struttura formale statica.

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1. BREVE PRESENTAZIONE DELLA TEORIA DI CHOMSKY

L’origine della teoria della grammatica generativa innata come spiegazione del linguaggio risiede nei famosi e influenti lavori del linguista statunitense Noam Chomsky, che ebbero una portata rivoluzionaria all’epoca in cui furono concepiti e si imposero alla stregua di un vero e proprio cambio di paradigma, in diversi settori disciplinari. Deacon presenta qui una sintesi generale, in tre punti principali, della versione originale della sua teoria, che riportiamo:

La teoria che una grammatica universale innata sia l’unica via per spiegare la facoltà del linguaggio l’ha proposta per primo Noam Chomsky. A motivare in origine la sua tesi vi erano tre intuizioni. In primo luogo, l’illustre linguista americano ha dimostrato che la struttura logica delle grammatiche era più complessa e difficile da specificare di quanto si fosse mai ipotizzato, eppure i normali fruitori di una lingua sembrano conoscere un numero enorme di regole e applicazioni grammaticali complesse senza una conoscenza esplicita di ciò che sanno. In secondo luogo, Chomsky ha sostenuto che le lingue, anche se all’apparenza incredibilmente variabili, condividono una logica profonda, una «struttura profonda», da cui ognuno può derivare le singole regole ricorrendo a una sorta di logica deduttiva. Ma così si complica ulteriormente la scoperta delle regole. Infatti, chi impara una lingua si trova di fronte solo alle conseguenze di superficie dell’applicazione delle regole, che devono essere dedotte da questa rappresentazione indiretta. In terzo luogo, Chomsky ha sostenuto che, per apprendere un sistema logico di tale sottigliezza e complessità, sarebbe necessaria una vasta esperienza per prove ed errori, accompagnata da informazione di ritorno. Eppure i bambini piccoli sviluppano rapidamente una sofisticata conoscenza delle regole grammaticali e delle loro applicazioni, pur in loro assenza.2

Molti studiosi sostengono inoltre che anche un’esperienza molto più ampia, ben oltre delle possibilità dei bambini, potrebbe essere ancora insufficiente per scoprire le regole astratte della grammatica di una lingua naturale. Questa difficoltà nella scoperta delle regole, seppure in teoria, si riflette nel fatto che i linguisti contemporanei presentano pareri ancora discordanti sulla descrizione formale più appropriata dei sistemi di regole della grammatica naturale. Essenzialmente, dice Deacon, la tesi dell’esistenza di una grammatica universale è fondata su di un “ragionamento per incredulità”.3
L’argomento chomskiano di una conoscenza innata, come corpus di regole dato, è intuitivamente irresistibile, probabilmente per via della ricerca di relazioni invarianti propria dell’atteggiamento scientifico. Tuttavia, come sottolinea Deacon, la teoria della grammatica universale presenta delle altre assunzioni collaterali molto forti e indifferenziate, su cui si sono concentrate, in quanto punti deboli della costruzione concettuale, le pungenti osservazioni dei critici:

Tuttavia la grammatica universale (d’ora in poi GU) è una cura ben più drastica della malattia: fa delle assunzioni indiscriminate sul cervello e l’evoluzione non meno credibili della pretesa che i bambini siano super-intelligenti nel loro apprendimento. I critici della teoria della teoria della GU contestano essenzialmente quelle che, a loro dire, sono delle assunzioni capziose sul contesto dell’apprendimento del linguaggio come induzione, e con essa la pretesa che l’esperienza del linguaggio non fornisca informazione di ritorno.4

2. TOMASELLO E LA CRITICA DEL CONTESTO SOCIALE

Molti critici della teoria chomskiana sostengono che non vi è alcun paradosso da spiegare, che una teoria generale dell’apprendimento può bastare. Le esperienze dei bambini fanno infatti parte di un ricco e complesso contesto sociale, che fornisce loro più modalità di retroazione (o “feedback”: il processo o la caratteristica con cui i sistemi dinamici si modificano in base ai risultati ottenuti) sociale concreta. Uno dei migliori esempi di questa tipologia di critici, che si rifanno alla dimensione intersoggettiva del contesto sociale, è indubbiamente Tomasello, il quale vede la comunicazione umana come un’impresa sostanzialmente comunicativa e ipotizza che le convenzioni linguistiche arbitrarie possano essere nate nel corso dell’evoluzione solo in un contesto di attività di collaborazione coordinate da forme naturali di comunicazione gestuale, in cui i partecipanti condividevano attenzione e intenzioni. Questo processo fu reso possibile dalle abilità unicamente umane di apprendimento e di imitazione culturale, che permisero loro di apprendere dagli altri e dai loro stati intenzionali in modi straordinariamente potenti. Gli esseri umani cominciano anche a creare e a disseminare culturalmente convenzioni grammaticali organizzate in costruzioni linguistiche complesse che codificavano tipi complessi di linguaggi, per l’uso in situazioni comunicative ricorrenti.5 Tomasello oppone questa sua concezione cooperativa della comunicazione umana e delle conseguenti origini del linguaggio alla teoria chomskiana:

Questa concezione della comunicazione e del linguaggio umano è dunque un sostanziale ribaltamento della teoria chomskiana, visto che gli aspetti più fondamentali della comunicazione umana vengono concepiti come adattamenti biologici alla cooperazione e all’interazione sociale in genere, mentre le dimensioni più puramente linguistiche del linguaggio, compresa quella grammaticale, sono costruite culturalmente e trasmesse “di bocca in bocca” dalle singole comunità linguistiche.6

È possibile, secondo Tomasello, che la capacità umana per il linguaggio si sia evoluta per molto tempo solo come accompagnamento alla comunicazione gestuale, e che la modalità gestuale sia in realtà una posizione relativamente recente, contro la maggior parte dei linguisti, i quali consideravano ad esempio le lingue dei segni nei termini di espressioni insolite della capacità umana di linguaggio vocale.7 Il rapporto di causalità tra linguaggio vocale e comunicazione gestuale si inverte. Anche la grammatica viene concepita da Tomasello in termini funzionali, come un prodotto congiunto di eredità comunicativa biologica e interazioni sociali. Il modo in cui funzionano le lingue moderne è una complessa mistura di principi “naturali” di comunicazione e grammatica – processi che derivano direttamente dal modo in cui gli umani sono organicamente strutturati per prendere cognizione del mondo e interagire socialmente – e strumenti comunicativi convenzionalizzati creati e trasmessi nell’ambito di gruppi culturali specifici. I processi di convenzionalizzazione sono effetti mediati dalle caratteristiche della cultura umana, essendo essi stessi processi di evoluzione storico-culturale, piuttosto che biologica.8 L’idea è che anche i meccanismi sintattici e le costruzioni grammaticali abbiano una “storia convenzionalizzata”, attraverso quei processi culturali di convenzionalizzazione descritti sopra, e che siano quindi diversi da quelle “regole” algebriche prive di contenuto, raffigurate da Chomsky e dai suoi seguaci:

Questa concezione più funzionale della grammatica non nega che possano esistere principi molto generali di elaborazione o calcolo che in qualche modo modellano o vincolano i tipi di strutture grammaticali che gli esseri umani possono convenzionalizzare, o che le cose possano partire da principi “naturali” come mettere al primo posto l’agente di un’azione. Ma ciò di cui consiste più immediatamente una grammatica è una classe di strumentazioni e costrutti convenzionali – variamente convenzionalizzati in lingue particolari – per facilitare la comunicazione quando ci si deve riferire a situazioni più complesse del “qui-e-ora”.9

La stessa scuola chomskiana ha dovuto ritrattare nel tempo più volte la sua posizione, modificandola ed ammorbidendola, alla luce delle forti critiche, che l’accusavano di eccessiva astrattezza nella produzione di entità che non avevano alcun legame con l’effettiva esperienza linguistica nella sua eterogeneità culturale, e delle nuove scoperte compiute nel frattempo dai ricercatori in vari ambiti disciplinari. L’ipotesi originaria di una grammatica originale innata, sempre secondo Tomasello, non possiede più, almeno nei termini in cui è formulata dai suoi sostenitori, le caratteristiche di una teorizzazione coerente:

Originariamente l’ipotesi era piuttosto lineare, visto che la grammatica universale conteneva oggetti puramente linguistici come nomi, verbi e regole fondamentali della grammatica europea. Ma quando è diventato chiaro che queste cose non si adattavano a molte lingue extraeuropee, l’ipotesi è cambiata fino a includere oggetti linguistici molto astratti, che si supponeva dovessero rappresentare la struttura computazionale universale del linguaggio – cose come il criterio di soggiacenza, il principio di categoria vuota, il criterio-theta, il principio di proiezione, e così via. Ma quando si è capito che si trattava di oggetti del tutto teorici, la teoria stessa è stata abbandonata e la proposta adesso è che esiste semplicemente un principio computazionale specificatamente linguistico: la ricorsione – una caratteristica che addirittura potrebbe non essere specificatamente linguistica (Hauser, Chomsky, Fitch, 2002). L’ipotesi chomskiana di una grammatica universale innata, al momento, non possiede una formulazione coerente (Tomasello, 2004).10

Per Tomasello invece la costruzione grammaticale stessa – lo schema astratto – è considerata un simbolo linguistico, seppur complesso e dotato di una struttura interna. Proprio come i membri di una comunità linguistica creano e trasmettono nel loro vocabolario parole particolari, essi allo stesso modo creano e trasmettono costruzioni grammaticali.11 La questione della grammatica si inscrive nella sua più generale concezione dei simboli. In realtà il carattere simbolico è comune sia alla comunicazione gestuale che al linguaggio, oltre che alla grammatica: sia i gesti iconici sia le convenzioni linguistiche rappresentano modi simbolici di indicare i referenti.12 Questo ha delle ripercussioni sulla questione connessa degli universali linguistici. Questi ultimi esistono in tutto il mondo semplicemente perché tutti gli individui devono sbrigare faccende comunicative simili e possiedono strumenti sociali, oltre che comunicativi, con cui affrontarli. Gli universali del linguaggio sono prodotti dalla comunità a partire da materiali grezzi sociali, cognitivi e vocali-uditivi, i quali permettono (e al tempo stesso vincolano) il processo di convenzionalizzazione.13

3. DEACON E LA CONCEZIONE CO-EVOLUTIVA DEL LINGUAGGIO

Deacon riconosce che è vero, oltre che dimostrabile, che i bambini apprendono il linguaggio in un ricco ambiente sociale, ma la pretesa che il solo apprendimento spieghi questa facoltà non è meno problematico della conoscenza innata. In effetti, non possiamo ignorare l’evidente e immenso baratro tra la facilità di apprendimento del linguaggio da parte dei bambini umani, pur presentando grossi limiti in altri domini di apprendimento, e le difficoltà nell’imparare mostrate da altre specie intelligenti e persino da sofisticati algoritmi di apprendimento induttivo.14 Gli esponenti della scuola chomskiana fanno bene a sottolineare questo punto. Deacon è molto meno impietoso nei confronti di Chomsky rispetto a Tomasello. Il paradosso quindi esiste, tuttavia va affrontato attraverso alcune domande ineludibili per entrambe le posizioni rivali. Una sorta di predisposizione al linguaggio deve essere presente, ma di che genere? E dove? Egli vuole ricercare una sorta di “terza via” alternativa:

Io sono dell’idea che Chomsky, e chi ne ha seguito le orme, abbia esposto in modo analitico un enigma centrale del linguaggio. Ma credo altresì che la loro risposta inverta causa ed effetto. La loro tesi è che l’origine di un supporto a priori nell’apprendimento del linguaggio nasca all’interno del cervello. E asseriscono, peraltro senza dimostrarlo, che altre origini plausibili non ve ne sono. Un’alternativa però esiste: che l’aiuto supplementare per apprendere la lingua non vada attribuito al cervello del bambino, e nemmeno a quello dei genitori o degli insegnanti. Che il supporto è fuori dall’organo della mente, nel linguaggio medesimo.15

Le lingue si sono evolute in riferimento al cervello dell’uomo: nel corso di innumerevoli generazioni, le lingue avrebbero dovuto diventare progressivamente più adatte alle persone. Riguardo al fatto che i bambini non apprendono le regole della grammatica o della sintassi, ma le scoprono, Deacon è d’accordo con Chomsky. Tuttavia il motivo è differente: i bambini non campionano l’intera gamma di alternative, ma manifestano un’inclinazione nella scelta e le loro congetture sono in genere orientate correttamente. Questa predisposizione del cervello umano nel minimizzare le interferenze cognitive rappresenta un elemento cruciale alla comprensione delle nostre differenze mentali con le altre specie ed è quindi molto importante per il nostro discorso sulla capacità di simbolizzazione:

A rendere speciali gli esseri umani, non è un organo del linguaggio o una conoscenza istintiva della grammatica, ma una predisposizione innata ad apprendere, che minimizza l’interferenza cognitiva incontrata invece dalle altre specie quando cercano di scoprire la logica del riferimento simbolico: un’inclinazione di gran lunga più intensa e ubiquitaria della mera immaturità.16

Infatti anche se l’immaturità del cervello rappresenta un handicap nell’apprendimento che favorisce notevolmente l’acquisizione del linguaggio, essa non spiega però il talento umano per linguaggio.17 Le cose potrebbero essere organizzate in modo che le congetture intuitive abbiano più probabilità di funzionare.18 L’assunto fuorviante che ha prodotto i vari paradossi è che l’apprendimento sia un processo ad una dimensione, dove un’insieme di singoli ricordi viene costruito pezzo per pezzo, e da cui possiamo ricavare regole generali solo per generalizzazione induttiva. L’idea basilare di Deacon è che noi in realtà non progettiamo nessuna lingua, ma la lingua si “progetta” da sé:

Le lingue non si limitano a variare: si evolvono. E sono gli stessi bambini il gioco truccato. Le lingue subiscono una forte pressione selettiva per adattarsi alle probabili congetture dei bambini, essendo loro il veicolo con cui il linguaggio si riproduce. Le lingue hanno dovuto adattarsi alle congetture spontanee dei bambini sulla comunicazione, l’apprendimento, l’interazione sociale, e persino il riferimento simbolico. Sono sempre loro infatti l’unico gioco in campo. Risulta che, in un curioso capovolgimento delle nostre idee in materia, le lingue hanno più bisogno dei bambini che i bambini della lingua.19

Quando Deacon parla di un supporto esterno al cervello, ma interno al linguaggio, intende proprio che, esternamente al cervello, si è verificata una grande quantità di adattamenti. Noi non ci pensiamo perché ragioniamo temporalmente sempre su scala umana, mentre invece il mutamento biologico è estremamente più lento e più rigido rispetto a quello linguistico. Le lingue, invece, in pochi anni possono diversificarsi fino a essere irriconoscibili. L’evoluzione del linguaggio è probabilmente migliaia di volte più rapida di quella del cervello. Vi è tra di essi un’enorme differenza di mobilità evolutiva. Questo è l’aspetto delle lingue che è sfuggito alla teoria della grammatica generativa. Non si deve quindi pensare ai diversi linguaggi come ad un qualcosa di statico e immobile, perché anche le lingue hanno una loro storia evolutiva, uno sviluppo diacronico per molti versi indipendente dall’evoluzione degli organismi, anche se in simbiosi necessaria con loro. Esiste insomma, oltre all’evoluzione biologica, anche una parallela e spontanea evoluzione linguistica:

Le lingue però rassomigliano molto più a organismi viventi che a dimostrazioni matematiche. Il principio fondamentale che ne ispira il progetto non è l’utilità comunicativa, ma la riproduzione: la nostra e la loro. Allora, è verosimile che lo strumento opportuno per analizzare la struttura del linguaggio non sia scoprire come crearne al meglio modelli sotto forma di sistemi di regole assiomatiche, ma studiarli come studiamo la struttura degli organismi viventi: in termini evolutivi. Le lingue sono entità sociali e culturali evolutesi obbedendo alle forze della selezione imposte dagli utilizzatori umani.20

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La struttura di una lingua è soggetta ad un’intensa selezione, soprattutto per adattarsi alla mente dei bambini, essendo un riflesso delle pressioni selettive che ne hanno plasmato la riproduzione. Deacon paragona infatti la lingua ad una forma di vita indipendente, che colonizza e parassita il cervello umano usandolo per riprodursi. Ad un virus, insomma: le lingue sono artefatti inanimati, configurazioni di suoni o di segni, che si insinuano nell’attività del nostro cervello, il quale ne replicherà delle parti, le accorperà in sistemi e le trasmetterà oltre. Il vantaggio dell’immaturità del cervello nell’apprendimento potrebbe essere soltanto una spiegazione evolutiva a posteriori, in quanto le lingue si sono adattate per avvantaggiarsi delle inclinazioni naturali degli organismi ospiti. La lingua è perciò un’entità adattativa integrata che si evolve rispetto ai suoi ospiti umani: il lessico e le regole sintattiche sono potenzialmente modificabili da errori di trasmissione, dalla creatività dei fruitori e da influssi di altre lingue. La natura sociale del linguaggio è da includere in questo processo evolutivo, perché il linguaggio è un fenomeno sociale, che deve essere spiegato riferendosi ad una dinamica sociale evoluzionistica, oltreché ad una dinamica biologica. Vi sono interessi riproduttivi in conflitto, ma l’analogia con il modello del parassita è forse estremo, perché la relazione tra lingua e uomini è piuttosto di natura simbiotica. Vi è quindi all’opera una dinamica coevolutiva tra lingua e ospite.21 Il cervello si è co-evoluto col linguaggio, ma le lingue hanno svolto buona parte del compito di adattamento. Riguardo agli universali linguistici, Deacon sostiene che non dobbiamo meravigliarci del grado in cui modelli, anche di elevata complessità, condividono tratti quasi universali nella maggior parte delle lingue, perché noi siamo tutti membri della stessa specie, accomunati da molte predisposizioni percettive, comportamentali ed emotive. Gli universali linguistici sono quindi universali statistici, alimentati però dalla statistica astronomica di milioni di parlanti in un arco di decine di migliaia di anni.22 Le istruzioni non esistono, proprio perché le lingue sono il prodotto di potenti processi evoluzionistici. La teoria chomskiana delle regole grammaticale innata ha commesso l’errore di appiattire questo irriducibile processo di evoluzione culturale in una struttura formale statica:

Allora, anche se tutti i problemi paradossali sollevati dai teorici della grammatica universale – la non insegnabilità teorica delle grammatiche, le capacità all’apparenza miracolose dell’apprendimento infantile, e l’universalità di regole astratte grammaticali e sintattiche spesso illogiche – sono reali, non dovremmo per questo ricorrere a una teoria della conoscenza linguistica innata per spiegarli. Possiamo invece interpretarli come prodotti di tendenze evoluzionistiche sociali convergenti, come adattamenti spontanei e paralleli della struttura linguistica agli inevitabili e ubiquitari limiti e inclinazioni del cervello umano, specie di quello infantile. Le lingue si sono adattate al cervello umano, e quest’ultimo si è adattato al linguaggio.23

Potrebbe l’evoluzione includere una conoscenza innata della grammatica come immaginano gli innatisti alla Chomsky? Se l’evoluzione sa produrre tali corposi cambiamenti nella struttura del cervello umano, non potrebbe con altrettanta disinvoltura generare cambiamenti più sottili che incorporino la logica di una grammatica universale?24 La proposta di Deacon è che, sebbene il nostro cervello e le nostre facoltà sensoriali manifestino molti adattamenti al linguaggio, definibili complessivamente istinto, la conoscenza grammaticale non può far parte di essi. Torna a rivelarsi fondamentale, questa volta contro la concezione chomskiana, il carattere dell’invarianza riproduttiva a lungo termine delle condizioni influenti: il che si traduce, dal punto di vista evolutivo, in pressioni selettive costanti e coerenti. Affinché un carattere linguistico abbia un impatto sull’evoluzione del cervello tale che tutti i membri della specie arrivino a condividerlo, deve rimanere invariabile pure di fronte al più drastico dei mutamenti linguistici possibili. Il tempo dalla comparsa di una mutazione favorevole alla sua fissazione nella popolazione coprirebbe probabilmente un vasto campionario di possibili strutture linguistiche. Per questo motivo, sono scarse le possibilità di adattamenti mentali a strutture sintattiche specifiche. La persistenza immutata dei caratteri universali del linguaggio non è che un aspetto dell’invarianza: perché vi sia assimilazione genetica, questo aspetto persistente del linguaggio deve imporre anche regolari richieste invarianti ai processi neurali, un criterio molto più arduo da esaudire per le strutture del linguaggio.25 Tuttavia questo criterio di invarianza della computazione neurale non implica l’esistenza nel cervello umano di una struttura locale dove viene eseguita la computazione stessa. Vi è però un aspetto importante in cui l’evoluzione del cervello richiede la specificità del substrato neurale, non solo del “programma”: l’informazione innata, per essere attuata nel cervello, deve utilizzare circuiti neurali specifici in modo ripetibile e coerente nei diversi individui e in un lungo arco di tempo. A quel punto la selezione potrà operare, ma le operazioni in sé non devono essere localizzate: a essere invariante dovrebbe essere invece il modo di distribuirsi nelle differenti strutture cerebrali.26 Quali conseguenze vi sono per la coerenza della rappresentazione neurale? Che la medesima operazione grammaticale, quando è rappresentata da caratteri di superficie della struttura del linguaggio molto differenti, può essere rappresentata da regioni del cervello anch’esse molto differenti. È come vengono eseguite le operazioni di superficie sulle parole (ad esempio, le analisi dei medesimi segnali fisici) a determinare quale parte del cervello sarà coinvolta. La maggior parte delle strutture profonde della grammatica proposte come universali sono operazioni logiche con applicazioni di superficie assai variabili da una lingua all’altra: tutte le peculiarità grammaticali sono soggette a questo legame variabile con gli attributi di superficie delle strutture del linguaggio. Sono state sottovalutate dai linguisti della scuola della Grammatica Universale le importanti implicazioni per l’evoluzione di questo fatto:

Questa relazione gerarchica è cruciale per le loro funzioni simboliche, ma solleva un’interessante questione: gli attributi più universali del linguaggio sono per loro natura i più variabili nella rappresentazione di superficie; vengono fatti corrispondere in modo variabile ai compiti di elaborazione; e sono scarsamente localizzabili nel cervello tra individui diversi e addirittura nello stesso individuo. Sono perciò i caratteri del linguaggio che con minore probabilità hanno evoluto strutture neurali specifiche.27

Indubbiamente, diverse funzioni linguistiche dipendono più da specializzazioni evolutive di determinate aree cerebrali che di altre, e sono più disponibili all’assimilazione genetica di altre. Le evidenze però indicano che la logica profonda delle regole grammaticali è priva delle caratteristiche invarianti che consentirebbero loro di essere soggette a selezione naturale: al massimo soltanto esigui aspetti della logica grammaticale profonda del linguaggio potrebbero essere “precablati” dalla selezione naturale in risposta alle richieste avanzate dal linguaggio. Dovremmo prendere in considerazione anche l’eventualità che esistano degli invarianti nel contesto di apprendimento del linguaggio, internalizzati nella sua evoluzione. Questo include quasi certamente pure inclinazioni adattative a invarianti nel contesto sociale dello sviluppo del linguaggio, legate quindi alla dimensione sociale e intersoggettiva delle società umane in cui si differenziano le diverse lingue. Questo implica l’uscita da quella semplicistica dicotomia che ci obbliga a pensare i nostri adattamenti al linguaggio o come del tutto innati o come, al contrario del tutto appresi dall’esperienza. Deacon ipotizza che si potrebbero persino prevedere gli aspetti del nostro linguaggio più o meno soggetti ad assimilazione genetica in virtù delle invarianze da loro dimostrate. Da tutto ciò, si può concludere che l’universalità, non è di per sé, un indicatore attendibile di ciò che l’evoluzione ha costruito nel cervello dell’uomo. L’astrazione stessa dalla realizzazione di superficie della morfologia e della sintassi, che conferisce alle grammatiche il loro potere generativo, le protegge anche dalla portata della selezione naturale:

Volendo riassumere, solo determinati caratteri strutturali universali del linguaggio potrebbero essersi internalizzati come parte di un «istinto del linguaggio», e questi si rivelano non essere quelli più sovente citati come nucleo di una Grammatica Universale. Invece i migliori candidati come adattamenti innati del linguaggio si rivelano alcune caratteristiche strutturali molto generali del mezzo primario del linguaggio stesso, la parola, e le richieste computazionali che tale mezzo impone in termini di analisi simbolica.28

NOTE:

1 G. W. Leibniz, Dialoghi filosofici e scientifici, a cura di F. Piro, Bompiani. Il Pensiero Occidentale, Milano 2007, p. 137.

2 T. W. Deacon, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, a cura di S. Ferraresi, Giovanni Fioriti Editore, Roma 2001, pp. 84-85.

3 Ivi, p. 85.

4 T. W. Deacon, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, op. cit., p. 85.

5 M. Tomasello, Le origini della comunicazione umana, a cura di S. Romano, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009, pp. 19-22.

6 Ivi, p. 22.

7 Ivi, p. 209.

8 Ivi, p. 249.

9 Ivi, p. 233.

10 Ivi, p. 262.

11 Ivi, p. 250.

12 Ivi, p. 270.

13 Ivi, p. 264.

14 T. W. Deacon, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, op. cit., p. 86.

15 Ibidem.

16 Ivi, p. 123.

17 Ivi, pp. 122-123.

18 Ivi, p. 88.

19 Ivi, p. 90.

20 Ivi, p. 91.

21 Ivi, pp. 92-93.

22 Ivi, p. 102.

23 Ivi, pp. 102-103.

24 Ivi, pp. 314-315.

25 Ivi, p. 317.

26 Ivi, p. 320.

27 Ivi, pp. 320-321.

28 Ivi, p. 326.

* Davide Russo è nato a Milano il 5 Aprile 1987. Nel 2014 ha ottenuto la laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso l’Università degli studi di Milano con una tesi intitolata La simbolizzazione nell’uomo e negli altri animali. Un’interpretazione biologica dell’animal symbolicum, Relatore il Prof. Renato Pettoello, correlatore il Prof. Dietelmo Pievani dell’Università degli Studi di Padova. I suoi principali interessi di ricerca sono la filosofia della biologia, l’evoluzione dell’intelligenza simbolica e la biosemiotica. Non disdegna nemmeno incursioni in altri campi, ma sarebbe un discorso troppo lungo. Cita soltanto la costante passione, nata nella mia infanzia ma non infantile, per la paleontologia: continua ad essere incuriosito infatti da tutto quello che riguarda dinosauri ed altri animali estinti, oggi come allora. Convive felicemente con la mia compagna Erica, laureata in biologia, e tre gatti: Mimì, Pascal e Ripley. Inoltre è vegetariano, suona amatorialmente il basso elettrico in diversi gruppi dalle eterogenee sonorità musicali e pratica da una vita arti marziali (attualmente Taijiquan, altri stili cinesi appartenenti alla cosiddetta corrente “interna” e, fino a poco tempo fa, anche Submission/Grappling), sperando un giorno di poter diventare un istruttore a tutti gli effetti per poter trasmettere ad altri questa sua passione.

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2 thoughts on “Critiche biologiche alla teoria chomskiana della grammatica universale innata

  1. Ho molto apprezzato l’articolo di Davide Russo e desidero porre alcuni rilievi in merito.
    Origine comunicativa o cognitiva del linguaggio: ritengo sbagliato continuare a discutere dei due aspetti in reciproca opposizione, aut-aut. Il linguaggio umano è uno strumento che si è evoluto in modo coerente con gli usi cumani di questo strumento, usi che sono tanto comunicativi che cognitivi. Credo che una logica aut-aut legata ai diversi utilizzi possa far perdere l’unitarietà complessiva di un oggetto composito come il linguaggio.
    Le ipotesi di Tomasello e di Deacon sono anch’esse un po’ viziate dall’errore originario di predefinire una specifica funzione del linguaggio. Le ipotesi di Tomasello e di Deacon sono comunque di gran lunga preferibili alla ipotesi chomskiana per il semplice fatto che Tomasello e Deacon si rifanno a una logica evolutiva, logica che Chomsky rifugge ponendo il linguaggio umano come un’entità discontinua rispetto alla filogenesi delle funzioni comunicative e cognitive del linguaggio, ponendo una sorta di inammissibile discontinuità ontologica tra le facoltà umane e quelle dei nostri cugini animali. Quanto a Deacon, non sono per niente d’accordo con la sua ipotesi che l’uomo possieda una “predisposizione innata ad apprendere, che minimizza l’interferenza cognitiva”. Sono piuttosto d’accordo con Francesco Ferretti (Alle origini del linguaggio umano. Il punto di vista evoluzionistico. Laterza 2010) che riconosce, al contrario, un ruolo importante dell’intelligenza inferenziale nell’evoluzione simbolica, sintattica, e grammaticale del linguaggio.
    L’articolo di Davide Russo è molto interessante e credo sia meritevole di ulteriori approfondimenti. L’articolo fa riferimento a due libri molto importati, quello di Tomasello e quello di Deacon, sull’origine del linguaggio ma credo che si debba e si possa guardare anche oltre questi caposaldi.
    Il mio apporto all’argomento è del tutto marginale ma segnalo, a chi fosse interessato anche per mera curiosità, alcuini miei contributi:

    – Diventare Umani. Aracne Editore http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854867741

    – Chomsky, l’evoluzione del linguaggio e l’acqua calda. In: Methodologia: WP280
    http://www.methodologia.it/wp_files/WP_280.pdf

    A Davide Russo e ai lettori di Filosofia e Nuovi Sentieri il più cordiale saluto da Piero Borzini

    Rispondi
  2. Gent. Piero Borzini,
    ti ringrazio davvero per il tuo preciso e molto interessante commento.
    Sono d’accordo che la dicotomia tra aspetti cognitivi e comunicativi del linguaggio vada superata per un approccio più complesso , strutturato e globale al problema. Infatti proprio dalla biosemiotica/zoosemiotica e dall’etologia cognitiva, cioè dagli etogrammi (gli elenchi il più possibile completi dei comportamenti della singola specie) comunicativi di moltissime specie animali, sono arrivati molti risultati che, come dici tu, ridimensionano tale teoria, che pure è stata molto influente e fondamentale in passato. Ma lo stesso rifiuto della selezione darwiniana da parte dei suoi esponenti più ortodossi già pregiudicava quel risultato.
    Credo che sia maggiormente Tomasello che sottolinea l’aspetto comunicativo del linguaggio e mi trova francamente meno d’accordo. Nell’articolo non davo giudizi di merito, limitandomi a presentare le due critiche, ma qui mi spingo oltre.
    Io sono d’accordo con Deacon soprattutto che la coevoluzione tra linguaggio e cervello possa effettivamente rappresentare una risposta al problema. D’altronde “La specie simbolica” è del 1997, quindi risulta ormai scientificamente datato e molte scoperte si sono fatte da quegli anni, negli ambiti in grande fermento della biologia, delle neuroscienze, della psicologia cognitiva, della memetica (a cui Deacon fa riferimento per la sua teoria), della psicologia dello sviluppo e in generale delle scienze cognitive. Ad es. l’ipotesi della prefrontalizzazione del cervello, cioè dello sviluppo della corteccia prefrontale durante l’evoluzione umana come differenza rispetto agli altri primati, sembra sia stata attualmente confutata. Credo però che sia stato un libro importante per il suo tentativo di sistematizzare il tema attraverso una grande eterogeneità di dati e discipline. Infine ammetto che si tratta di un estratto dalla mia tesi di laurea magistrale e che si tratta di ambiti che sto iniziando ad esplorare, anche rubando parecchio dai libri della mia compagna, quindi ogni regalo o suggerimento è ben gradito. Anche su Chomsky ho intenzione di affrontare direttamente i suoi libri, non basandomi su commentatori posteriori, come ho fatto nel presente articolo e nella mia tesi. Quindi mi sono segnato tutti i libri che lei mi ha citato per un utilissimo approfondimento. Spero di averle dato una risposta soddisfacente, anche se necessariamente parziale e incompleta. Comunque se ha dubbi chieda ancora: per me è un vero piacere discutere con lei. Grazie ancora per i graditi spunti alla riflessione.
    Cordiali saluti,
    Davide Russo.

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