> di Alessandra Peluso*
In “Piccole tracce”, collana dedicata alle tematiche filosofiche e/o esistenziali, Domitilla Melloni propone un appassionante testo sulla “Vecchiaia”. A differenza di un’epoca nella quale alla vecchiaia non si era soliti giungere, attualmente, è una fase che interessa tutti. Si legge sia un periodo di decadenza finale della vita, se lo si guarda dal punto di vista fisico, naturalmente.
In quest’ultimo periodo se ne sta parlando spesso, forse perché c’è qualcosa ancora da comprendere sull’argomento. “La vecchiaia è sempre esistita e non è stata mai molto gradita”, chissà perché, si chiede l’autrice affrontando il tema in modo analitico, e discutendo sull’urgenza di fronteggiare le aspettative sociali collettive. Se Marc Augé ne “Il tempo senza età” sostiene che la vecchiaia non esista, qui Melloni parla della vecchiaia come uno stadio, un percorso della vita diventato addirittura un fenomeno di massa. È una grande conquista, resa possibile dai progressi della medicina e dal miglioramento delle condizioni economiche di vita.
Pertanto, l’autrice invita a non considerare un peso la vecchiaia, ma, attraverso gli strumenti delle pratiche filosofiche a viverla come una risorsa. A tal proposito, Papa Giovanni Paolo II ha scritto una “Lettera agli anziani”: «Se ci soffermiamo ad analizzare la situazione attuale, constatiamo che presso alcuni popoli la vecchiaia è stimata e valorizzata; presso altri, invece, lo è molto meno a causa di una mentalità che pone al primo posto l’utilità immediata e la produttività dell’uomo, ad un mondo che ha dimenticato come gli anziani aiutano a guardare alle vicende terrene con più saggezza, perché le vicissitudini li hanno resi esperti e maturi. Essi sono custodi della memoria collettiva, e perciò interpreti privilegiati di quell’insieme di ideali e di valori comuni che reggono e guidano la convivenza sociale. Escluderli è come rifiutare il passato, in cui affondano le radici del presente, in nome di una modernità senza memoria». Nell’antichità, infatti, la vecchiaia era sinonimo di saggezza e gli anziani avevano la capacità di confrontarsi con i giovani, ed essere orgogliosi di giungere ad un’età matura e raccontarsi.
Nella società contemporanea, invece, animata da una ragione calcolante e dal “dio denaro” – come sostiene la visione sociologica di Weber e Simmel – i vecchi sono considerati non produttivi, inattivi e, pertanto, privi di senso, come se il valore si commisurasse con il fare e non con l’essere come insegnano i saggi filosofi. Pertanto, sorge una problematica non del tutto irrilevante, che riguarda la questione trattata dall’autrice in modo unicamente fisico, corporeo. Ma, assurgere a questo, preclude anche l’invecchiamento dell’identità? Essere vecchi presuppone esserlo persino nello spirito? Ecco, allora, risulta evidente uno sbilanciamento, dal momento che non è manifesto che ciò che si veda, corrisponda anche a ciò che si è. Non è un caso che Socrate abbia sostenuto che la saggezza appartenga agli anziani. In età classica, infatti solo i “vecchi” ricoprivano incarichi politici importanti. Ne emerge con chiarezza come gli antichi fossero molto consapevoli dei molteplici aspetti dell’età anziana, e come si ponessero interrogativi profondi e significativi sul legame fra anziani e nuove generazioni, sulla magistralità o meno degli anziani, sulle diverse possibilità di vivere e di affrontare l’età avanzata. Operazione che raramente si attua in epoca attuale. Forse perché si accosta la vecchiaia alla conclusione di un’età che non ha più nulla da dare, o da dire? È chiaro, inoltre, che in Italia occorre analizzare bene questa fase come emblema, non solo sociale, ma anche politico, culturale, economico e prima di tutto filosofico.
La pratica filosofica attuata da Domitilla Melloni induce ad un approccio intimistico di sé, privato, ad un interrogarsi sulle proprie condizioni d’essere, cercando di elaborare le giuste conclusioni in relazione con gli altri. Osservazioni compiute, a ben vedere, da un giovane – uomo o donna che sia – per prepararsi alla vecchiaia in modo differente. Tuttavia, la filosofia dispone a non essere schiavi di alcun pregiudizio, né dell’apparenza, ma di fidarsi e affidarsi alla verità, al “quid”, a quella sostanza che determina l’essere, l’identità, e che mai nessuno potrà toglierci, nemmeno le rughe che solcano il viso. Sostanza che è, per Aristotele, immutabile, e contiene anche quell’inconscio, il quale determina la realtà, fregandosene di ciò che vive al momento. In sostanza, un vecchio può essere giovanissimo, anzi aggiungo, è, diventa un bambino, diventa ciò che è, buttando giù la maschera e mostrando il volto.
E, allora, Domitilla Melloni compie – discorrendo nel testo – una prima analisi sul “dialogo sordo tra le generazioni”, in “Vecchiaia”, giunge poi ad osservare il ruolo della morte, fondamentale per capire l’importanza della vita. E, infatti, si legge: «Negare la morte porta a ingabbiare la vita, a ingessarla per farla restare saldamente ancorata a un tempo in cui l’aspetto del corpo e la maturità sono lontani dall’idea di possibile declino» (p. 31).
Avvalendosi di una riflessione filosofica, il testo giunge alla contemplazione della libertà, sino a coniugare uno sguardo autentico del sé e del mondo. Dal particolare si arriva all’universale, offrendo al lettore una visione panoramica della vita di ogni essere umano. Il libro, inoltre, induce a un percorso intimo, di ricerca socratica, che conduce a partorire una verità possibile: immaginare la vecchiaia come tempo dell’incertezza, dell’improvvisazione, testimonianza di qualità. La vecchiaia, quindi, esiste, dal punto di vista dell’autrice, e come tale va affrontata nel migliore dei modi e, mai, negata. Questa è un’evidente verità, innegabile, alla quale si possono rilevare – attraverso le pratiche filosofiche – anche altre verità, alcune già argomentate, altre da immaginare e se possibile in fretta, afferma Melloni, sottolineando una certa emergenza.
D. Melloni, Vecchiaia, ed. Mursia, 2014.
*Alessandra Peluso nata a Nardò (Lecce) nel 1976, vive a Leverano (Lecce); si è laureata in Filosofia con una tesi di laurea su Georg Simmel. Tecnica e critica della cultura, dottore di ricerca in Scienze bioetico-giuridiche con una tesi di dottorato Dal trapianto allo xenotrapianto. Una via per garantire la disponibilità di organi. Correttrice di bozze ed editor presso Università del Salento nel progetto “Enciclopedia di Bioetica”. Impegnata in comunicazione ed editoria. Collaboratrice di Affari Italiani. Membro del “Centro Studi per le pratiche filosofiche Segni dell’uomo” – Università del Salento. Ha pubblicato saggi filosofici su Albert Camus Il Senso della misura e mediterraneità su Rivista internazionale di filosofia «Segni e comprensione», gennaio/aprile 2013; su Giorgio Campanini rilegge Mounier, Rivista internazionale di filosofia «Segni e comprensione», maggio/agosto 2013; su Georg Simmel, in “Frammenti della cultura del Novecento”, Gilgamesh Edizioni, 2013; su Il corpo delle donne e la bioetica, Limina Mentis, 2014; Aspetto il padre/ Expectabat a patre/ Aspettando Godot!, in atti del “Convegno tra psicoanalisi, cinema e filosofia”, Università del Salento, 29 maggio 2014, atti in corso di pubblicazione; Nascite (controllo delle), voce in IX vol., “Enciclopedia di Bioetica e Scienza Giuridica”, ESI, in corso di pubblicazione. Xenotrapianti: le biotecnologie animali e la brevettabilità; Dalla Bioetica alla biopolitica, in onore prof. emerito Antonio Tarantino, ESI, 2014. Pubblicazioni poetiche: Canto d’Anima Amante, Luca Pensa editore, Lecce, 2011 con la quale ha ricevuto il premio speciale dalla Giuria – Categoria A – Libro edito per l’opera nel Concorso internazionale di poesia-Vittorio Bodini – Lecce. Nel 2014 la sua seconda pubblicazione di poesia con Ritorno Sorgente (LietoColle); nel 2014 Umane transumanze, antologia poetica, De Comporre Edizioni 2014.