> di Stefano Santasilia
Nel dibattito sul ritorno del realismo e sul nuovo realismo (nato, in Italia, “sotto le direttive” dell’oramai arcinoto Maurizio Ferraris), il testo di Gabriel si colloca come un momento di riflessione acuto e significativo. Difatti la riflessione del giovane filosofo tedesco non vuole porsi come un ritorno ad una forma di realismo dura, contrapposta semplicemente ad un possibile estremo costruttivismo. La questione è, più che altro, quella di riuscire a mostrare come non vi sia opposizione alcuna tra la condizione dell’immaginario e quella della conoscenza del mondo così com’è (considerando che tale conoscenza pur basandosi su presupposti immediati non si dà certo come diretta e scevra da precomprensione).
La proposta di Gabriel si connota, secondo l’espressione utilizzata dallo stesso autore, come iperrealismo: il realismo di Gabriel non vuole più caratterizzarsi meramente come una lettura di carattere epistemologico, bensì vuole assurgere ad un evidente valore ontologico. La convinzione di poter individuare il nocciolo duro della realtà (senza per questo imporre un senso onnicomprensivo) caratterizza la ricerca del giovane pensatore tedesco che giunge a sostenere come, nei fatti, tutti seguiamo una concezione iperrealista senza rendercene conto. La grande novità starebbe nel fatto che finalmente, attualmente, abbiamo i mezzi concettuali per potercene rendere consapevoli. Il “gioco” di Gabriel consiste nel riuscire a far dialogare pensatori che spesso ci si ritrova a collocare su sponde opposte, quali Frege ed Hegel, Husserl e Searle, ecc., nel tentativo, secondo l’autore pienamente riuscito, di dimostrare come l’esistenza di ciò che ci circonda non possa affatto dipendere dal soggetto che la riconosce. L’intento di Gabriel risulta essere profondamente avvincente (soprattutto quando si propone di utilizzare l’affermazione della non esistenza del mondo proprio per dimostrarne l’esistenza); la metodologia convincente a tratti (bisognerebbe chiedersi se la contestualizzazione di ogni affermazione con relativa individuazione del campo di senso possa essere giustificazione dell’esistenza di qualsivoglia rappresentazione o elaborazione concettuale); l’obiettivo finale…quello sì genera problemi. Se l’iperrealismo ha ragione nell’affermare la completa esistenza di ogni rappresentazione, beh allora ci sarebbe da chiedersi se il suo volersi connotare come “correzione” del postmoderno non lo situi, di colpo, proprio nell’alveo di quest’ultimo come sua possibile conclusione ma, per questo, anche suo possibile erede. Al lettore l’ardua sentenza.
M. Gabriel, Il senso dell’esistenza, ed. Carocci, 2012, pp. 164, euro 15,50.