> di Paolo Calabrò
Lei parla di amore chiamando in causa la scienza e le sue acquisizioni teoriche, dalla biologia alla meccanica quantistica. In che modo – e in che misura – è possibile farlo?
Ancor prima di essere un sentimento, l’amore è la manifestazione di una tendenza intrinseca all’essere stesso. Partiamo dall’immagine tradizionale dell’amore che gli antichi ci hanno trasmesso nella figura del dio Eros o Cupido che scaglia la freccia: è certamente un’immagine poetica – la si è sempre trattata così – ma è realmente solo questo? Perché la mente ha sentito (e continua a sentirlo: l’immagine è tutt’altro che desueta) il bisogno di rappresentare il darsi dell’amore attraverso l’immagine della freccia? È chiaro: perché la sente congruente, efficace, adeguata a esprimere il fenomeno fisico dell’innamoramento. L’innamoramento è di fatto un fenomeno fisico, che può essere pensato – come ho approfondito nel mio ultimo libro (Io amo. Piccola filosofia dell’amore, ed. Garzanti, N.d.R.) – come un’onda, proprio del tipo di cui parla anche la fisica. La definizione di “onda” data dai manuali di fisica è “perturbazione che si diffonde nello spazio trasmettendo energia ma non materia”. Penso che chiunque sia stato innamorato abbia vissuto su di sé l’esperienza di una “perturbazione”, che si è mossa dentro di lui spostando energia ma non materia. È effettivamente possibile, a mio avviso, stabilire un parallelo tra l’innamoramento e l’onda elettromagnetica; non è forse vero che il soggetto colpito dalla “perturbazione” si trasformi in un vero e proprio pezzo di ferro per il quale l’altro – o l’altra – non è né più né meno che… un grande magnete, che lo attrae irresistibilmente? L’amore è un fenomeno cosmico che investe tanto gli umani quanto ogni altro aspetto della realtà. E la cosa più sorprendente è che lo fa secondo modalità tutt’affatto simili.