Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Arthur Koestler, epistemologo della creatività

> di Giuseppe Brescia*

Di Arthur Koestler (Budapest 1905 – morto suicida a Londra con la moglie Cynthia nel 1983), ‘assetato di assoluto’ e studioso del ‘senso oceanico’ specie nell’ultima fase della propria riflessione (dopo averne scoperto la esigenza in “Buio al Mezzogiorno”, come risposta al male), la cultura italiana si occupava a causa della morte, in occasione della pubblicazione del suo ‘capolavoro’, del contributo al “Dio che è fallito” (Testimonianze sul comunismo) e dei vari tomi della ‘Autobiografia’, via via poi declinando verso il ‘silenzio’, specie nel trentennale della scomparsa, o persino tentando una lettura a posteriori, “politically correct”, di “Darkness at Noon” (dal 1940, data dell’originale, al 1946, 1950 e 1992, per le prefazioni agli “Oscar Mondadori”).

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Il senso del celeste e i princìpi vichiani in James Joyce

> di Giuseppe Brescia*

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L’autonomia della poesia; la distinzione tra “persona pratica” e “personalità artistica” nello Shakespeare; l’interpretazione della legge dei “corsi e ricorsi storici”, come esigenza del perpetuo rinnovarsi di idealità spirituali e non meccanica ripetizione di fatti e accadimenti storici; la necessità, per non lasciarsi sopraffare, di contrapporre “forza a forza”, puntando però sempre al riscatto del cielo e dell’amore (“Love loves to love love”); il divario tra le “res gestae” e le “res gerendae” (“the irreparability of the past” e “the imprevedibility of the future”) nel corso dell’addio, al numero 7 di Eccles Street, tra Leopold Bloom e Stephen: – sono, questi, soltanto alcuni dei più importanti princìpi vichiani, e d’interpretazione vichiana, adottati da James Joyce in Ulysses (1922, ed. Penguin, London 1992, pp. 236 e 241-242; 490-492; 427-433; 816 sgg.), più tardi in Finnegans Wake, del 1939, il cui quarto libro è dedicato, propriamente, a “Il Ricorso”.

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“Con l’opera tacendo”. Ancora sul dialogo ‘sottovoce’ tra Emanuele Severino e Pietro Barcellona

> di Giuseppe Brescia*


L’intervista di Luigi Amicone, “La follia del nostro tempo” (su “Tempi” del 19 marzo 2014 ), con Emanuele Severino, oltre a coinvolgere il dialogo tra lo stesso filosofo italiano e il dissenziente “marxista – ratzingeriano” prematuramente scomparso Pietro Barcellona (autore de “La sfida della modernità”, La Scuola di Brescia, 2014), consente di tornare su temi essenziali per la comprensione del nostro tempo, nonché per svolgimenti di ermeneutica filosofica.

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Il diario intimo di Oswald Spengler

> di Giuseppe Savarino

Spengler - A me stesso

Oswald Spengler (1880-1936) è stato saggista tra i più famosi per diversi decenni (a partire dal 1918) come autore di un saggio, Il tramonto dell’Occidente, per poi scomparire nell’anonimato o essere confinato nel mondo accademico.

Il tramonto continua ad avere un suo fascino ancora oggi, ma l’impressione tuttavia è che sia più citato che letto, non fosse altro per il corposo numero di pagine (più di cinquecento).

In Italia non ha giovato senz’altro la stroncatura di Benedetto Croce (non è un caso che da noi comparve solo nel 1957, grazie alla traduzione di Julius Evola) per il quale lo stesso successo del libro avrebbe dovuto impensierire “le sorti del lavoro scientifico” e per il quale Spengler non era nient’altro che “un dilettante”.

Una tesi ribadita da altri eccellenti pensatori del calibro di Karl Popper o Max Weber, sebbene abbiano riconosciuto in lui un certo ingegno, più letterario che scientifico.
Dilettante o no, mattone o meno, ingegno o meno, uno dei prossimi libri che conto di compulsare (e non solo di spiluccare qua e là) sarà proprio Il tramonto dell’Occidente.
Il motivo è semplice: attratto, come sono, dallo stile forse addirittura più che dai contenuti (più correttamente dovrei dire: dai contenuti che possiedono uno stile, perché la sostanza senza metodo è corpo senza abito) ho avuto modo, qualche mese fa, di apprezzare alcuni appunti autobiografici di Oswald Spengler pubblicati da Adelphi nel 1993 con il titolo A me stesso.

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Lotta contro i demoni: da Flaubert a Camus

> di Giuseppe Brescia*

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Scriveva nel 1852 Gustave Flaubert (Rouen, 12 dicembre 1821 – Croisset, 8 maggio 1880) all’amica Louise Colet, a proposito della poetica della impersonalità: «L’autore, nell’opera sua, deve essere come Dio nell’universo, presente dappertutto e visibile in nessun luogo. Essendo l’arte una seconda natura, il creatore deve agire con procedimenti analoghi. Che una impassibilità nascosta ed infinita s’avverta in tutti gli atomi, da tutti gli aspetti. L’effetto, per lo spettatore, dev’essere una sorta di sbalordimento». Naturalmente, il mito della “imparzialità” è smentito non solo dalla trama, ma anche dalla forma e dagli affetti che vi sono espressi, come nel romanzo pubblicato a puntate sulla “Revue de Paris” tra il 1851 e il 1856, la Madame Bovary del 1857, che costò all’autore il celebre processo con l’accusa d’immoralità. «Nel fondo della sua anima, Emma aspettava che qualche cosa accadesse. Come i marinai in pericolo, volgeva gli occhi disperata sulla solitudine della sua anima e cercava, lontano, una vela bianca tra le brume dell’orizzonte. Non sapeva che cosa l’aspettasse, quale vento avrebbe spinto quelle vele fino a lei, su quale riva l’avrebbe portata, né sapeva che cosa l’aspettasse, quale vento avrebbe spinto quelle vele fino a lei, su quale riva l’avrebbe portata, né sapeva se sarebbe stata una scialuppa o un vascello a tre ponti, carico di angosce o pieno di felicità fino ai bordi». Continua a leggere

Arbeit toetet


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Giuseppe Rensi “contro il lavoro”

> di Pietro Piro*

«Il problema del lavoro,

come tutti quelli che maggiormente interessano l’umanità, è,

così dal punto di vista morale,

come dal punto di vista

economico-sociale, insolubile»

[Giuseppe Rensi, Contro il lavoro]

I.

Giuseppe Rensi filosofo e giurista che svolse gran parte del suo magistero a Genova prima che l’ondata brutale e mortifera del fascismo lo allontanasse dall’insegnamento, giudicava «il problema del lavoro» insolubile sia dal punto di vista morale che da quello economico-sociale [1]. Considerando l’attuale configurazione planetaria del lavoro, inteso in tutte le sue molteplici e atipiche forme del presente, non si può contraddirlo con argomenti banali e di facile consumo.

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Hegels Grab in Berlin


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Hegel e l’affermarsi della negatività negli scritti giovanili – Parte I

> di Francesca Brencio*

«A chi mi domanda che cosa abbia fatto Hegel io rispondo che ha redento il mondo dal male perché ha giustificato questo nel suo ufficio di elemento vitale» [Benedetto Croce]

«Il fatto che l’accidentale in quanto tale, separato dalla propria sfera, il fatto che ciò che è legato ad altro ed è reale solo in connessione ad altro ottenga un’esistenza propria e una libertà separata, tutto ciò costituisce l’immane potenza del negativo: tutto ciò è l’energia del pensiero, dell’io puro. La morte, se così vogliamo chiamare quella irrealtà, è la cosa più terribile, e per tener fermo ciò che è morto è necessaria la massima forza. Se infatti la bellezza impotente odia l’intelletto, ciò avviene perché si vede richiamata da questo a compiti che essa non è in grado di assolvere. La vita dello Spirito, invece, non è quella che si riempie d’orrore dinanzi alla morte e si preserva integra dal disfacimento e dalla devastazione, ma è quella vita che sopporta la morte e si mantiene in essa. Lo Spirito conquista la propria verità solo a condizione di ritrovare se stesso nella disgregazione assoluta. Lo Spirito è questa potenza, ma non nel senso del positivo che distoglie lo sguardo dal negativo come quando ci sbarazziamo in fretta di qualcosa dicendo che non è o che è falso, per passare subito a qualcos’altro. Lo Spirito è invece questa potenza solo quando guarda in faccia il negativo e soggiorna presso di esso. Tale soggiorno è il potere magico che converte il negativo nell’essere» [1].

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