Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Sulla creazione politica, critica filosofica e rivoluzione. Un saggio EIR di Emanuele Profumi

> di Guido Grassadonio*

Il volume Sulla Creazione Politica, critica filosofica e rivoluzione, di Emanuele Profumi, edito da Editori Internazionali Riuniti (EIR), si colloca in perfetta continuità con i precedenti lavori dell’autore. Da un lato l’interesse per la filosofia di Cornelius Castoriadis richiama la monografia dedicata al filosofo greco edita da Mimesis nel 2010 (E. Profumi, L’autonomia possibile. Introduzione a Castoriadis, Mimesis, Milano 2010) dall’altro l’interesse per le vicende politiche dell’America Latina ed il Brasile in particolare continua quanto iniziato con Il Passo del gigante. Viaggio per comprendere il Brasile di Lula, edito da Aracne nel 2012. Continua a leggere

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Controcorrente: Houellebecq dalla morte di Dio ad Allah

> di Luca Ormelli

SottomissioneCopertina

«Io non sono per assolutamente niente» 

I media («e l’esistenza di un dibattito politico sia pur posticcio è necessaria al funzionamento armonioso dei media, forse persino all’esistenza in seno alla popolazione di un senso quantomeno formale di democrazia», Sottomissione, pp. 172-173) non hanno perduto l’occasione per dimostrare ancora una volta la loro superficialità. Ma è chi sta dietro ai media, l’intellettuale, che ha dimostrato di essere persino peggio senza attenuanti generiche. Capiamoci: Houellebecq non è “Charlie Hebdo” e Sottomissione non c’entra nulla con il terrorismo. Chi sostiene il contrario è in malafede.

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Emil Cioran (3)


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Cioran e la filosofia (II)

> di Massimo Carloni*

2. Un pensatore privato, ovvero la filosofia tra libertà e destino

2.1 Filosofo di strada

La massima folgorante di Joubert, secondo cui «La vera filosofia ci insegna a non esser troppo filosofi»[1], Cioran l’ha praticata sul campo, da eroe, praticamente per tutta la vita. Un episodio biografico, tra gli altri, merita a questo punto di essere ricordato. Se ben ricordate, l’avevamo lasciato al liceo di Brašov, negli improbabili panni d’insegnante di filosofia. Chiusasi questa breve parentesi, Cioran, forte delle credenziali di scrittore promettente, riesce ad ottenere una borsa di studio presso l’Istituto francese di Bucarest, allo scopo di preparare una tesi di dottorato in filosofia – a quanto pare sul concetto d’intuizione in Bergson e nel misticismo cristiano. Sulla base di questo lodevole quanto impegnativo programma di studi, al giovane viene concesso dal 1937 al 1940 un vitalizio mensile di circa mille franchi, per finanziare il suo soggiorno di studio a Parigi.

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Emil Cioran (3)


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Cioran e la filosofia

> di Massimo Carloni*

1. L’inquietudine impersonale ovvero la filosofia come professione

«Succede della maggioranza dei filosofi sistematici, riguardo ai loro sistemi, come di chi si costruisse un castello e poi se ne andasse a vivere in un fienile: per conto loro essi non vivono in quell’enorme costruzione sistematica. Ma nel campo dello spirito ciò costituisce un’obiezione capitale. Qui i pensieri, i pensieri di un uomo, devono essere l’abitazione in cui egli vive: altrimenti sono guai» Søren Kierkegaard [1]

1.1 Un insolito professore

Superato l’esame d’abilitazione all’insegnamento, nell’anno scolastico 1936/37 Cioran, allora venticinquenne, ottenne la nomina come professore di filosofia al liceo Andrei Şaguna di Braşov. A quel tempo Cioran era tutt’altro che un ragazzo alle prime armi, timido e sprovveduto. In un’età in cui l’intelletto incomincia appena a balbettare, in pratica aveva già letto tutto. A diciassette anni s’era immerso con avidità nell’universo del pensiero, vivendo nell’ebbrezza dell’astrazione, sotto l’influsso magico del concetto. In soli quattro anni percorse la parabola del sapere filosofico – quella che, secondo Pascal, va dallignorance naturelle all’ignorance savante [2]  quando gli altri v’impiegano, se tutto va bene, un’intera vita. Dopo la laurea, ancora giovanissimo, volse le spalle alla filosofia, sperimentandone la vanità e l’inefficacia di fronte alla sofferenza personale. Come scrittore, aveva riversato quindi la sua furiosa malinconia, esacerbata da un’insonnia devastante, in due libri “avvelenati”, di cui il primo – Al culmine della disperazione scritto a soli ventuno anni – intriso d’una saggezza cupa e demolitrice, conteneva in germe gran parte delle intuizioni che svilupperà nelle opere successive.

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Frammento Repubblica Platone


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Scolio VII

«A noi piace soltanto il combattimento, non la vittoria; ci piace vedere i combattimenti degli animali, non il vincitore che si accanisce sul vinto; che cosa si voleva vedere se non il compiersi della vittoria? E non appena è giunta si è sazi. Così è nel giuoco, così è nella ricerca della verità. Ci piace vedere, nelle dispute, lo scontro delle opinioni; per nulla, invece, contemplare la verità trovata; per indurre a considerarla piacevolmente bisogna mostrarla nel suo nascere dalla disputa. Similmente, nelle passioni, si prova piace nel vedere l’urto di due opposte; ma quando una prepondera, ormai è soltanto brutalità. Noi non cerchiamo mai le cose, ma la ricerca delle cose. Così, nelle commedie, le scene liete prive d’ansia non valgono nulla, e neppure le estreme sventure senza speranza o gli amori brutali o le crude durezze»

[Blaise Pascal, Pensées tratti da Della necessità della scommessa, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1994, p. 39].

Hegels Denkmal in Jena


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Hegel e l’affermarsi della negatività negli scritti giovanili – Parte II

> di Francesca Brencio*

E’ con l’opera del 1802, Fede e sapere, momento centrale della maturazione hegeliana, e con la dura critica che egli muove all’illuminismo, che Hegel affronta il problema della morte di Dio a partire dalla finitezza e dalla nullificazione della finitezza. Hegel dichiara esplicitamente che «il primo compito della filosofia è conoscere il nulla assoluto» [1], e cioè il nulla della finitezza, nella misura in cui essa si chiude in se stessa senza tuttavia negarsi nell’eterno. Solo dalla coscienza del nulla del finito in generale, del mondo e delle cose «la verità si innalza come da un abisso misterioso, che è il suo luogo di nascita» [2].

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Eraclito piangente


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I sentieri di Eraclito

> di Giuseppe Savarino

“Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo lògos”.
(Eraclito, frammento 45 Diels-Kranz).

“Oscuro” e “piangente” sono gli aggettivi che accompagnano da sempre questo autore presocratico: oscuro per lo stile aforistico, ermetico, oracolare (Giorgio Colli, sorpreso dalla morte proprio mentre stava scrivendo un libro su Eraclito, parlava di «vibrazione del nascosto»), piangente probabilmente per il suo profondo pessimismo.

Di certo non fu oscuro per linguaggio ma per scelta: concepiva la sapienza come ricerca, come processo esoterico (qualcuno lo definirà filosofo mistico).
Il sapiente è colui che non si lascia ingannare, che pone come fondamento ultimo del mondo ciò che non è palese («Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica [dà un segno, NdR]», frammento 93 Diels-Kranz).
Oscura fu anche la sua vita: come tutti gli autori presocratici non si sa di lui pressoché nulla, se non ciò che ci ha tramandato la dossografia antica e cioè che era di nobili origini e che è vissuto a Efeso, oggi splendido sito archeologico in Turchia.
Da vero amante della sapienza non era interessato alle ricchezze materiali, come racconta Diogene Laerzio, che aggiunge: «fu altero quant’altri mai e superbo». Continua a leggere

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