Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Filosofia, scienza e pseudoscienza nella crisi della conoscenza contemporanea

> di Davide Di Tullio*

È la troppa cultura che porta all’ignoranza,
perché se la cultura non è sorretta dalla fede,
a un certo punto gli uomini vedono solo
la matematica delle cose.
E l’armonia di questa matematica diventa
il suo Dio, e dimentica che Dio ha creato
questa matematica e questa armonia

Giovannino Guareschi, Filosofia spicciola

Abstract
L’odierna tecnocrazia è osteggiata da un rigurgito antiscientista, fenomeno sicuramente inquietante, ma non privo di una qualche giustificazione. Non si vuole qui imbastire l’apologia delle tendenze antiscientifiche che stanno prendendo sempre più piede nelle comunità iper-informate dei paesi più avanzati; piuttosto si tenterà di tracciare il quadro di una tendenza che rischia di minare la fiducia verso il fondamento stesso dell’essere umano: la ragione. Si cercherà, dunque, di comprendere il rapporto che intercorre tra scienza e filosofia oggi; si tenterà, inoltre di inquadrare il fenomeno delle pseudoscienze e definire le cause della crisi della conoscenza.

Cosa si intende per “scienza”? Nel corso della storia a questo termine sono stati attribuiti funzioni ed ambiti che la scienza moderna qualificherebbe come pre-scientifici o semplicemente non-scientifici. Sono i criteri che la scienza moderna ha assunto per autodefinirsi che consentono di compiere quell’opera di discernimento tra quanti, tra gli atti del conoscere, possono definirsi propriamente scientifici e quanti no. In questo senso, accoglieremo la formula di Lucio Russo che conferisce l’attributo di “scientifico” alle teorie a) le cui «affermazioni non riguardano oggetti concreti ma enti teorici specifici», b) hanno «una struttura rigorosamente deduttiva» e c) le cui «applicazioni al mondo reale sono basate su regole di corrispondenza tra gli enti della teoria e gli oggetti concreti» (Russo, 2014, pp. 33-34). Alla luce di tale definizione, le teorie filosofiche non possono ritenersi “scientifiche”, venendo meno i presupposti espressi nei punti a) e c). Continua a leggere


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La macchina del mito – il corpo disabitato, fra relazione e tempo

> di Sandro Vero*

 

Magritte - Intermission

 

1. La relazione

Il doppio movimento è qui assolutamente irrinunciabile: si scoraggia sempre più la relazione, l’unica vera attuazione del potenziale “comunitario”, cellula germinale di ogni progetto di condivisione che inerisca il sociale e il politico, e si sostituisce questa con dispositivi surroganti che non hanno – come invece la relazione minaccia di avere – un potenziale eversivo. Dispositivi che, anzi, avvitano il soggetto dentro una logica solipsistica, auto-sufficiente. Ciò fa si che la relazione, da cornice naturale di ogni processo comunicativo, divenga il prodotto secondario di una comunicazione passata attraverso manuali di efficacia, marketing del contatto, stilizzazione del gesto, desessualizzazione del desiderio. È quanto richiesto dalle necessità di un processo a doppio binario: la frammentazione dell’unità  ̶  di una forma operativa, trasformativa, di coesione sociale – da una parte, la crescente globalizzazione – non solo economico-finanziaria ma culturale   ̶   dall’altra.

In realtà, dietro il fenomeno del corpo disabitato [1], si consuma un doppio ordine di necessità, ciascuna disponendosi su un diverso livello: si sviluppa un mercato fiorente del fitness, coi suoi prodotti, le sue mode, i suoi santuari, le sue certezze, un pacchetto complessivo che richiede una dedizione sorretta dall’angoscia del tempo [2], in una sorta di assedio che precipita istante dopo istante il soggetto in una condizione di dipendenza; si realizza un programma di depauperamento della relazione – quella fra persone – adeguatamente sostituita da qualcosa che la imita e la riproduce al ribasso – quest’ultima fra individui – completamente prosciugata di tutto ciò che esonda dagli argini dell’essere per e che, altrimenti, affermerebbe la priorità naturale dell’essere con. Continua a leggere


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Arthur Koestler, epistemologo della creatività

> di Giuseppe Brescia*

Di Arthur Koestler (Budapest 1905 – morto suicida a Londra con la moglie Cynthia nel 1983), ‘assetato di assoluto’ e studioso del ‘senso oceanico’ specie nell’ultima fase della propria riflessione (dopo averne scoperto la esigenza in “Buio al Mezzogiorno”, come risposta al male), la cultura italiana si occupava a causa della morte, in occasione della pubblicazione del suo ‘capolavoro’, del contributo al “Dio che è fallito” (Testimonianze sul comunismo) e dei vari tomi della ‘Autobiografia’, via via poi declinando verso il ‘silenzio’, specie nel trentennale della scomparsa, o persino tentando una lettura a posteriori, “politically correct”, di “Darkness at Noon” (dal 1940, data dell’originale, al 1946, 1950 e 1992, per le prefazioni agli “Oscar Mondadori”).

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Il prestigio della coscienza (seconda parte)

> di Giuseppe Roncoroni*

Hawking
« Un tempo i filosofi consideravano di loro competenza l’intero sapere umano. Oggi i filosofi, incapaci di tenere il passo con le novità della scienza, hanno rinunciato al loro compito. … Quale caduta dalla grande tradizione della filosofia da Aristotele a Kant! … La filosofia è morta e ha lasciato un vuoto. Così la scienza ha preso il suo posto. Oggi i veri filosofi sono gli scienziati i quali sviluppano le teorie sul “che cosa” e sul “perché”. »

Indice
I Il principio della coscienza
II La mappa della coscienza
III I passi della filosofia
IV L’abbraccio fra mente e corpo
V Il cosmo e il tempo
VI La sorgente perenne

IV L’abbraccio fra mente e corpo

Eraclito
« Come il ragno, stando nel mezzo della tela, avverte quando una mosca spezza qualche filo e lì accorre quasi provasse dolore, così la psiche dell’uomo, quando è ferito il corpo, accorre come se non sopportasse la ferita del corpo al quale è congiunta saldamente e secondo una precisa proporzione. »
« Ogni animale è condotto al pascolo dalla frusta. »
« Tutte le cose sono piene di spiriti e demoni. »

1 Cos’è la mente
La mente comprende i processi dei quali siamo coscienti. Questi non sono completi e sfumano verso l’inconscio che è la zona in ombra della mente. Parlerò del rapporto che la nostra mente ha con la natura o, è lo stesso, con il nostro corpo e il nostro cervello. Un fatto è sicuro: le cose dell’una sono diverse dalle cose dell’altra. Le sensazioni, le emozioni o i concetti sono diversi dagli oggetti o dalle cellule.

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Il prestigio della coscienza (prima parte)

> di Giuseppe Roncoroni*

Wigner
Ci sono due tipi di esistenza: l’esistere della coscienza e l’esistere di ogni altra cosa.
Quest’ultima realtà non è assoluta ma soltanto relativa.
Qualunque cosa che sta fuori dalla coscienza non è che una costruzione.

Hinsie
La coscienza non è una funzione distinta ma è una caratteristica di base dei processi mentali.
Questo vuole dire che la coscienza è tutt’uno con il mondo della coscienza.

Da terre lontane e misteriose giunge il Gigante.
Le spalle si curvano sotto un carico.
Dalle mani spunta la Luce, lo Scorpione, il Globo.
La Luce, lo Scorpione, il Globo.
Sotto il carico si piegano mani e spalle.
Il Gigante è schiacciato in terre grigie e fredde.

Indice
I Il principio della coscienza
II La mappa della coscienza
III I passi della filosofia
IV L’abbraccio fra mente e corpo
V Il cosmo e il tempo
VI La sorgente perenne

I Il principio della coscienza

Goethe
«Non è che suono e fumo la parola. Nel brivido è la più alta facoltà dell’uomo. Per quanto il mondo gli renda difficile l’esistere sente profondamente commosso il Miracolo».

Shakespeare
«Noi siamo della stoffa di cui sono fatti i sogni e la nostra breve vita è avvolta dal sonno».

Zhuang-zi
«Una volta Zhuang-zi sognò che era una farfalla e che volava. Bruscamente si svegliò e si accorse con stupore di essere Zhuang-zi. Non seppe più se era Zhuang-zi che aveva sognato di essere una farfalla o se era una farfalla che stava sognando di essere Zhuang-zi».

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Emil Cioran (3)


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Cioran e la filosofia (II)

> di Massimo Carloni*

2. Un pensatore privato, ovvero la filosofia tra libertà e destino

2.1 Filosofo di strada

La massima folgorante di Joubert, secondo cui «La vera filosofia ci insegna a non esser troppo filosofi»[1], Cioran l’ha praticata sul campo, da eroe, praticamente per tutta la vita. Un episodio biografico, tra gli altri, merita a questo punto di essere ricordato. Se ben ricordate, l’avevamo lasciato al liceo di Brašov, negli improbabili panni d’insegnante di filosofia. Chiusasi questa breve parentesi, Cioran, forte delle credenziali di scrittore promettente, riesce ad ottenere una borsa di studio presso l’Istituto francese di Bucarest, allo scopo di preparare una tesi di dottorato in filosofia – a quanto pare sul concetto d’intuizione in Bergson e nel misticismo cristiano. Sulla base di questo lodevole quanto impegnativo programma di studi, al giovane viene concesso dal 1937 al 1940 un vitalizio mensile di circa mille franchi, per finanziare il suo soggiorno di studio a Parigi.

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Emil Cioran (3)


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Cioran e la filosofia

> di Massimo Carloni*

1. L’inquietudine impersonale ovvero la filosofia come professione

«Succede della maggioranza dei filosofi sistematici, riguardo ai loro sistemi, come di chi si costruisse un castello e poi se ne andasse a vivere in un fienile: per conto loro essi non vivono in quell’enorme costruzione sistematica. Ma nel campo dello spirito ciò costituisce un’obiezione capitale. Qui i pensieri, i pensieri di un uomo, devono essere l’abitazione in cui egli vive: altrimenti sono guai» Søren Kierkegaard [1]

1.1 Un insolito professore

Superato l’esame d’abilitazione all’insegnamento, nell’anno scolastico 1936/37 Cioran, allora venticinquenne, ottenne la nomina come professore di filosofia al liceo Andrei Şaguna di Braşov. A quel tempo Cioran era tutt’altro che un ragazzo alle prime armi, timido e sprovveduto. In un’età in cui l’intelletto incomincia appena a balbettare, in pratica aveva già letto tutto. A diciassette anni s’era immerso con avidità nell’universo del pensiero, vivendo nell’ebbrezza dell’astrazione, sotto l’influsso magico del concetto. In soli quattro anni percorse la parabola del sapere filosofico – quella che, secondo Pascal, va dallignorance naturelle all’ignorance savante [2]  quando gli altri v’impiegano, se tutto va bene, un’intera vita. Dopo la laurea, ancora giovanissimo, volse le spalle alla filosofia, sperimentandone la vanità e l’inefficacia di fronte alla sofferenza personale. Come scrittore, aveva riversato quindi la sua furiosa malinconia, esacerbata da un’insonnia devastante, in due libri “avvelenati”, di cui il primo – Al culmine della disperazione scritto a soli ventuno anni – intriso d’una saggezza cupa e demolitrice, conteneva in germe gran parte delle intuizioni che svilupperà nelle opere successive.

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