«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot
L’individualità è un prodotto del potere. Ciò che occorre è “de-individualizzarsi”, con la moltiplicazione e la dislocazione, in combinazioni diverse.
M. Foucault, Introduzione alla vita non-fascista
Bisogna rendere ancor più oppressiva l’oppressione reale con aggiungervi la consapevolezza dell’oppressione, ancor più vergognosa la vergogna, dandole pubblicità.
K. Marx, Introduzione alla filosofia del diritto di Hegel
I. Come andò che maestro Ciliegia, falegname, trovò un pezzo di legno lo ferì con un ascia perché piangeva e rideva come un bambino.
Ancora una nota su Pinocchio o meglio: desiderare il desiderio è legittimo?
L’argomento è spiacevole e noi siamo sempre desiderosi di nascondere il dolore al dolore. Ma adesso sono costretto ad accennare e quindi a ferire il feribile.
Pinocchio dice: «Non mi picchiar tanto forte!», è la sua prima parola nel mondo. Il suo primo vagito invoca pietà e rispetto. Bisognerebbe riflettere su questo aspetto. Pinocchio è segnato.
L’ascia che gli vuole dare una forma è tutta la realtà che lo vuole mutilare, gli vuole frantumare il rizoma, lo vuole ingabbiare in uno schema prefissato. Continua a leggere →
Il doppio movimento è qui assolutamente irrinunciabile: si scoraggia sempre più la relazione, l’unica vera attuazione del potenziale “comunitario”, cellula germinale di ogni progetto di condivisione che inerisca il sociale e il politico, e si sostituisce questa con dispositivi surroganti che non hanno – come invece la relazione minaccia di avere – un potenziale eversivo. Dispositivi che, anzi, avvitano il soggetto dentro una logica solipsistica, auto-sufficiente. Ciò fa si che la relazione, da cornice naturale di ogni processo comunicativo, divenga il prodotto secondario di una comunicazione passata attraverso manuali di efficacia, marketing del contatto, stilizzazione del gesto, desessualizzazione del desiderio. È quanto richiesto dalle necessità di un processo a doppio binario: la frammentazione dell’unità ̶ di una forma operativa, trasformativa, di coesione sociale – da una parte, la crescente globalizzazione – non solo economico-finanziaria ma culturale ̶ dall’altra.
In realtà, dietro il fenomeno del corpo disabitato [1], si consuma un doppio ordine di necessità, ciascuna disponendosi su un diverso livello: si sviluppa un mercato fiorente del fitness, coi suoi prodotti, le sue mode, i suoi santuari, le sue certezze, un pacchetto complessivo che richiede una dedizione sorretta dall’angoscia del tempo [2], in una sorta di assedio che precipita istante dopo istante il soggetto in una condizione di dipendenza; si realizza un programma di depauperamento della relazione – quella fra persone – adeguatamente sostituita da qualcosa che la imita e la riproduce al ribasso – quest’ultima fra individui – completamente prosciugata di tutto ciò che esonda dagli argini dell’essere per e che, altrimenti, affermerebbe la priorità naturale dell’essere con. Continua a leggere →
Istintivamente è difficile immaginare che un capolavoro possa celarsi in un piccolo libro, di una sessantina di pagine appena: la filosofia ci ha abituati a letture defatiganti e all’idea che la densità del pensiero vada di pari passo alla lunghezza dell’esposizione. Eppure c’è sempre dietro l’angolo l’eccezione che conferma la regola; verrebbe da aggiungere: “quella che non ti aspetti”, ma nel caso di La bellezza (non) ci salverà, di Agnes Heller e Zygmunt Bauman (ed. Il Margine) c’era da aspettarselo eccome. Continua a leggere →
«Dopo tutto siamo la sola civiltà in cui delle persone
specialmente addette sono retribuite
per ascoltare ciascuno confidare il proprio sesso…»
Michel Foucault
È bene chiarire sin da ora che la scelta di centrare il discorso inerente il mito della cura sulla psicologia è una scelta non casuale o, in alternativa, dettata da motivi esterni alla struttura logica del nostro lavoro. La psicologia è, senza alcun dubbio, la disciplina che meglio incarna un certo modo di articolarsi del mito dell’individuo, specie come lo abbiamo visto agganciarsi ai temi del potere, nel momento specifico della sua sussunzione come “organismo malato”, dunque bisognoso di essere preso in carico in un’ottica terapeutica. La radice profondamente ideologica dei suoi fondamenti teorici sopravanza notevolmente quelle di discipline contigue come la sociologia e l’antropologia, che pure mantengono un rapporto stretto con la prospettiva storica. Continua a leggere →
Il termine ‘filosofia del profondo’, che richiama la ben più nota locuzione ‘psicologia del profondo’, è relativamente poco diffuso e le sue differenti ed effettive accezioni sono ancora prive di una trattazione sistematica. Non tragga in inganno il titolo apparentemente pretenzioso di questo mio breve scritto. Le ricerche che ho effettuato, lungi dall’essere esaustive, si prefiggono, infatti, l’assai meno ambizioso obiettivo di porre parzialmente rimedio a una tale mancanza.
A quanto mi risulta è Giovanni Giulietti il primo ad utilizzare, nel 1965, tale dicitura nel suo saggio La filosofia del profondo in Husserl e Zamboni [1]; si tratta di un’analisi comparata del pensiero del celebre padre della fenomenologia e di quello del gnoseologo italiano, esponente della neoscolastica contemporanea. Accomunati da una forte tensione antintellettualistica, entrambi i pensatori, pur nelle rispettive specificità, sono alla ricerca della dimensione non mediata, preriflessiva ed autentica dell’esperienza conoscitiva ed esistenziale nella sua integralità [2]. A proposito di Husserl, Giulietti cita Enzo Paci, che vede nel pensiero del filosofo moravo «[…] le anticipazioni di tante nuove dottrine filosofiche che alimentano il discorso filosofico attuale, dall’esistenzialismo alla psicoanalisi […]»[3]:
«[…] quella che crediamo la vita vera […] è, invece, la vita nella quale il principio vivente è “coperto”, nascosto, obliato, “assonnato”, non sveglio, non presente a se stesso»[4]. Continua a leggere →
«La specificità del potere capitalistico non deriva da una semplice accumulazione di potere d’acquisto, ma dalla capacità di riconfigurare i rapporti di potere e i processi di soggettivazione»
Maurizio Lazzarato [1]
1. La cultura occidentale ha da tempo occupato precise postazioni, dalle quali guarda intorno col piglio sicuro di coloro che non ammettono dubbi, che non tradiscono tentennamento alcuno. Il rapporto con la natura, che da cinque secoli almeno è caratterizzato da un’aggressività totalmente funzionale ai modi in cui si è dato il rapporto produttivo nella sua società, è la prima di esse [2]. La scissione corpo/mente, che ha statuito una separazione ontologica curiosamente contrapposta alla confusione – anche questa funzionale alle logiche del profitto nel contesto produttivo – fra natura e cultura, ovvero fra natura e storia, è la seconda [3]. La progressiva de-temporalizzazione del rapporto fra passato (ovvero tradizione) e futuro (ovvero progresso), che ha impresso una formidabile accelerazione/immobilizzazione del tempo come vissuto, è la terza [4]. La trasformazione dell’immagine del mondo, che da luogo rappresentabile solo come disegno è divenuto spazio dicibile solo in quanto modificato, è la quarta [5]. Continua a leggere →
Nel pensiero di Günther Anders argomentazioni filosofiche si fondono alla narrativa: concetti nuovi o rielaborati vengono espressi egregiamente tramite la creazione di personaggi ambigui, tesi fra la realtà della cronaca e delle esperienze personali dell’autore e parossismi idealizzati se non, in alcuni casi, favole [1].
Tuttavia ciò non pregiudica la serietà e la drammaticità che tali figure letterarie incarnano. Nell’insieme della raccolta di saggi dell’opera principale di Anders, L’uomo è antiquato, è possibile seguire le tracce di tre di esse per ricomporre in un unico quadro le diverse forme di frustrazione e malessere che l’uomo moderno prova nella società tecnocratica per la sua mancanza di libertà e per l’incapacità d’essere, anch’egli, una macchina perfettamente funzionante.
Il riduzionismo predomina (per non dire spadroneggia) nelle scienze, anche in quelle umane, non è una novità: il principio per il quale tutto ciò che è complesso può essere scomposto, esaminato e infine compreso nelle sue parti più semplici va per la maggiore, almeno dai tempi di Cartesio. Si tralasci pure la critica generale per la quale il rischio principale è quello di fare la fine dell’apprendista dell’orologiaio al quale – nel ricomporre tutto a fine lavoro – avanza sempre qualche pezzo che non sa più dove inserire. Il punto è che il paradigma accumula consenso non tanto perché giusto in sé (che vuol dire “giusto” nella scienza? Un principio è un principio, non può essere dimostrato, ed è valido finché serve: null’altro), quanto per i risultati che riesce a ottenere, soprattutto nel mostrare le basi neurofisiologiche del comportamento umano. Tutto corretto e sacrosanto fino a che non si esageri: veramente la mente sarebbe infine riducibile al cervello? Il fronte degli studiosi è diviso, come avviene in fisica nel durissimo scontro fra riduzionisti ed emergentisti. Continua a leggere →
Su questa scena immensa,
giocar solo apparenze[1].
– W. Shakespeare, Sonetto 15 –
1. La tempesta delle illusioni
Somnium narrare vigilantis est[2], recita Seneca citato da Montaigne tra le righe degli Essais. Il francese gli chiede aiuto per il suo forzo razionale di discernere le dimensioni del senso e prendere coscienza di quei luoghi che la mente confonde, dando credito alla fantasia e conferendo spazialità alle chimere più eteroclite. L’impeto luminare con cui Montaigne ritiene che «bisogna tenere l’anima ben desta»[3] è il gesto di un umanista non convenzionale – ma pur sempre innamorato della dignitas hominis – che intende svernare dall’alito corvino delle ideologie medievali e che, non ancora incantato dalle promesse dell’avvenire, ambisce a vivere quel presente ostacolato dal peso della tradizione, che rende galeotto lo spirito. «I miei spiriti, come in un sogno, si sentono affatto prigionieri»[4] sembra volergli rispondere Shakespeare attraverso il Ferdinand di The Tempest. Uno stigma del sentire dell’epoca, a quanto pare, e un silente anelito a infrangere le catene della credenza per farsi passare quel torcicollo della devozione che costringeva l’uomo a guardarsi indietro e, ad un tempo, genuflettersi dinnanzi al simulacro del misoneismo. Continua a leggere →
La nuova pagina Batailliana, che si inaugura oggi all’interno della rivista «Filosofia e nuovi sentieri», è interamente dedicata alla figura di Georges Bataille. Si procederà con la pubblicazione di stralci significativi tratti dalla sua opera, di studi a tema, di recensioni di sue opere o di pubblicazioni a lui dedicate; tutto ciò allo scopo di favorire la conoscenza e l’approfondimento del pensiero e della scrittura di quello che reputo uno dei pensatori più originali e senz’altro più singolari del secolo scorso. L’intento è quello di risvegliare l’interesse intorno a un autore ancora poco o parzialmente conosciuto in Italia e spesso più per le sue opere di letteratura erotica che per quelle di riflessione. Continua a leggere →
Diego Fusaro, giovane filosofo, è assurto agli onori della cronaca mediatica e dei social network anche grazie alle sue periodiche apparizioni in qualche talk show: uno, tra tutti, “La Gabbia”, la cui strategia comunicativa è quella di una sorta di arena, nella quale gli ospiti si “sfidano” in piedi, uno di fronte all’altro, con un confronto (sic!) “gridato” – così come sempre più gridata è oramai la natura del confronto tra le persone, accentuato dalle forme linguistiche immediate, apodittiche e “nervose”, prodotte da Internet: confronto, che costituisce – per dirla con Foucault – il vero «effetto di potere» del “dispositivo” web, al punto che, mentre vengono meno vere relazioni comunicative, si produce una sorta di Nervenleben («intensificazione della vita nervosa»), come quel Nervenleben, su cui ha lasciato pagine straordinarie Georg Simmel, aprendo il XX secolo. Con la differenza che mentre Simmel poteva attribuirlo allo choc del “vissuto individuale” per l’eccesso degli stimoli prodotti dalla vita delle metropoli, quello attuale è l’effetto psicologico dell’accentuarsi di una crisi economico-sociale che ha già eroso, in forme accentuate dal 2008, il terreno su cui poggiano i piedi milioni di persone, rese insicure, inquiete e in crisi d’identità – e pertanto giustamente “arrabbiate” – per il vuoto di prospettive del loro stesso futuro.
In tale “contesto comunicativo” vanno inscritti sia l’approccio retorico con cui Fusaro veicola i suoi messaggi sia il “contenuto” dei temi e argomenti politico-culturali che fanno, di quest’ultimo, una figura inedita di “polemista”. Ma l’aspetto che, in Fusaro, a noi appare predominante è una sorta di “cortocircuito” tra teoria e prassi, idee filosofiche e azione politica, pensiero e agire politico, in altri termini, tra filosofia e politica. Quasi a offrire una sorta di fusione tra i due ambiti, analoga alla dinamica praticata da certo marxismo degli anni ’60: stagione politica, peraltro, nella quale il nostro non era neppure nato. Tuttavia, è proprio questo “cortocircuito” che, a nostro avviso, sembra avvolgere, appiattire e, a volte, semplificare i contenuti che il giovane filosofo sostiene nella sua “battaglia delle idee”. Continua a leggere →
Coloro che detengono il potere stanno letteralmente cercando di spezzare una parte della nostra ossatura etica,
di attenuare e dissolvere ciò che rappresenta probabilmente
la più grande acquisizione della civiltà,
la crescita della nostra sensibilità morale spontanea.
S. Žižek, In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale
Nel suo piccolo ma denso volume Sociologia dell’agire politico. Bauman, Habermas, Žižek (Studium, Roma 2014), Francesco Giacomantonio cerca ragioni valide per motivare un agire politico «intorpidito da una visione della politica, intesa sempre più come mera gestione e governance dell’esistente, che toglie qualsiasi portata ideale» (p. 16). Deve fare i conti però con una “egonomia politica” in cui l’Io diventa un sistema di riferimento, la base dell’organizzazione socio-politica (p. 19). Un nuovo modo d’intendere il rapporto tra autocostrizione e autocostruzione che limita l’autonomia e la responsabilità e favorisce la dipendenza (eteronomia) e la coazione a ripetere.